Perché gli artisti vendono i diritti delle loro canzoni

Da Bob Dylan a Shakira, fino a Justin Bieber. La pratica di cedere le royalities sulla propria musica sta diventando sempre più frequente

Bob Dylan in concerto (Ansa)

Bob Dylan in concerto (Ansa)

Roma, 18 febbraio 2023 - Dagli esperti è già stata denominata “la nuova febbre dell’oro”. E' il frenetico e movimentato mercato dei diritti d'autore sui cataloghi delle grandi star musicali. Vendere i diritti del proprio repertorio sta diventando, infatti, una pratica sempre più diffusa tra cantanti e musicisti: l’ultimo ad essersi aggiunto al paniere già ricco è Justin Bieber, che ha venduto le royalties della sua musica al fondo d’investimenti Hipgnosis per 200 milioni di dollari. Ma ha avuto grande risonanza in passato anche il caso di Bob Dylan, che nel 2020 ha ceduto il proprio repertorio alla Universal, concludendo il più grande affare di questo tipo nella storia, incassando un assegno stimato tra i 300 e i 400 milioni di dollari. Hanno fatto la stessa scelta anche Neil Young, Shakira, i Red Hot Chili Peppers, Justin Timberlake, Nile Rodgers, Nelly Furtado e molti altri artisti.

Il fenomeno è sotto l’attenta analisi degli investitori ormai da alcuni anni e i più esperti ritengono che il mercato degli investimenti musicali diverrà nel tempo sempre più esteso e redditizio. Ma cosa significa vendere il proprio repertorio musicale e perché sempre più artisti decidono di farlo?

Cosa significa vendere il proprio repertorio musicale?

Vendere le royalties dei propri brani significa vendere i diritti d’autore sulle proprie canzoni, tutte o soltanto una parte, rinunciando quindi ai proventi che ne derivano, da quelli minori provenienti dalle singole riproduzioni in streaming a quelli potenzialmente milionari degli utilizzi nei film e nelle serie tv, passando per le cover suonate dal vivo e le trasmissioni in radio. Possedere un catalogo significa anche poter pubblicare nuove edizioni fisiche o digitali dei dischi e raccogliere l’introito derivante dalle royalties musicali.

La pandemia: il mercato dei cataloghi si allarga

La vendita del repertorio musicale ha iniziato a diffondersi e consolidarsi nel 2020, quando, a causa della pandemia da Covid-19, insieme alle persone si sono fermati anche i concerti dal vivo. Niente tour significa niente incassi per gli artisti. Così musicisti, cantanti e cantautori, si sono ritrovati a dover vendere i diritti sulle proprie canzoni per poter resistere a una situazione di stallo che si sarebbe sbloccata solo un anno dopo.

Infatti, i concerti restano la maggior fonte di guadagno per gli artisti. L’introito ricavato dalle piattaforme di streaming risulta irrisorio a confronto e garantirsi un’entrata fissa derivante soltanto dagli ascolti o dalle visualizzazioni è davvero difficile. Una singola riproduzione frutta all’artista normalmente una frazione di centesimo di dollaro: Spotify, la piattaforma più diffusa, è tra quelle che pagano meno, tra un terzo e metà di un centesimo a riproduzione. Con YouTube va ancora peggio: per arrivare al reddito medio italiano di 21mila euro, gli youtuber italiani dovrebbe generare 6 milioni di visualizzazioni l’anno.

I benefici: investitori e musicisti

Gli investitori musicali vanno alla ricerca di canzoni in grado di garantire un’entrata che sia il più costante possibile nel tempo: i grandi tormentoni, i cult e le canzoni che non passano mai di moda. Per questo gli investitori fanno a gara per accaparrarsi i cataloghi più redditizi, come quelli di Dylan o di Bieber, per l’appunto.

Tra i gruppi leader nel settore sicuramente Hipgnosis Songs Fund, la prima società di investimento musicale del Regno Unito, che al momento ha possiede i diritti di 78 canzoni su 324 nel Billions Club di Spotify, 52 canzoni tra le 500 migliori di tutti i tempi di Rolling Stone, 13 dei primi 30 video musicali più visti di tutti i tempi su Youtube e 4 delle 5 migliori canzoni Billboard del decennio. Anche Primary Wave è una delle società più quotate: ha comprato il repertorio musicale di Bob Marley, Whitney Houston, il catalogo pre-1964 di Ray Charles, James Brown, gli America e molti altri artisti. Concord Music Group ha invece comprato i diritti del catalogo degli Imagine Dragons, pare per una somma a nove cifre, Calvin Harris ha venduto il suo a Vine Alternative Investments e i Killers hanno venduto il catalogo a Eldridge, un’azienda di investimenti del Connecticut, guidata da Todd Boehl.

Secondo il Wall Street Journal, attualmente il valore dei cataloghi di un artista si aggira tra le 10 e le 18 volte il valore delle royalties annuale, quando negli scorsi anni era rimasto tra le 8 e le 13 volte. Negli Stati Uniti, poi, le vendite del proprio catalogo sono tassate al 20%, come redditi da capitale, a differenza dei ricavi sulle royalties che sono tassati al 37%. Il prossimo presidente degli Stati Uniti Joe Biden, però, vuole equiparare le due tassazioni per chi guadagna più di 1 milione di dollari all’anno: significa che, nel giro di qualche mese, lo stesso artista potrebbe ottenere decine di milioni in meno per il proprio catalogo. Chi già stava pensando di vendere, quindi, è incentivato a farlo ora.

 

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