Giovedì 18 Aprile 2024

Springsteen, un altro mito in vendita

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Chiara

Di Clemente

Born to bank. Come Bob Dylan, Neil Young (con riserva), Crosby e altri grandi, Bruce Springsteen vende la sua opera omnia a una Major: le trattative per la cessione alla Sony dei diritti d’autore sui brani registrati sono in chiusura, un po’ indietro quelle per la vendita del catalogo delle canzoni. Dylan per l’operazione simile a fine 2020 si è portato in banca 400 milioni di dollari. Il Guardian ha chiamato il fenomeno in atto “febbre dell’oro“: coi dischi guadagnano meno di prima, l’unica fonte di reddito viva (i concerti) è stata bloccata dalla pandemia, dunque per le rockstar la vendita del corpus dell’opera rappresenta una monetizzazione (gigantesca) immediata, se hanno una certa età – e tutti hanno una certa età – scaccia le ansie da lotte ereditarie, infine assicura maggiore potenza sul digitale (nonché nelle orecchie delle future generazioni).

Alle etichette discografiche multinazionali, anch’esse in crisi, l’acquisto conviene perché i cataloghi – di un certo livello, ovvio – si sono rivelati fonti di ricavo costanti nel tempo. Normale che venda anche il Boss, dando per certo che con qualche clausola la sua musica non sarà mai fatta carne di Trump. L’unico dubbio è un fantasma sullo sfondo. "Le grandi società non sanno che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello. E il denaro che potrebbe andare in salari va in fucili, spie, polizie e liste nere", scriveva Steinbeck nel ’39. Dov’è finito, Bruce, il tuo canto di Tom Joad?