Lunedì 7 Luglio 2025
ELENA COMELLI
Cronaca

Pesca e non solo, transizione ancora a metà

L’episodio è solo l’ultimo dei nodi ancora rimasti irrisolti: sui confini nordirlandesi il governo britannico cerca ancora un accordo

di Elena Comelli

Dai pescherecci alle navi da guerra il passo è breve. I timori di incomprensioni e barriere commerciali suscitati dalla Brexit in Europa sembravano infondati, ma il duro confronto delle ultime ore tra Londra e Parigi li ha risvegliati. Le conseguenze della disputa sulla questione della pesca nel canale della Manica indicano che nei rapporti fra l’Europa e il Regno Unito c’è qualcosa che non va. Tutto nasce dalle proteste dei pescatori francesi, che si sono lamentati dell’impossibilità di operare nelle acque britanniche a causa delle difficoltà di ottenere le licenze promesse e che due settimane fa hanno anche provato a bloccare i camion carichi di pesce britannico che entravano in Europa.

In base ai termini dell’intesa sulla Brexit le barche dell’Ue possono pescare all’interno delle acque britanniche, se hanno prove di attività di pesca storica dal 2012-2016. Jersey ha il potere esclusivo di rilasciare le licenze per operare nelle sue acque e venerdì il governo dell’isola ne ha concesse 41, aggiungendo una serie di condizioni giudicate pretestuose. Questa mossa ha fatto infuriare ancora di più i pescatori francesi, che hanno minacciato di bloccare l’isola. Le tensioni non si sono fermate alle organizzazioni dei pescatori e i governi di Parigi e Londra, anziché stemperare gli animi, hanno alzato il livello dello scontro, arrivando fino all’invio delle motovedette militari.

Possibile che a duecento anni dalla morte di Napoleone siamo ancora a puntarci contro i cannoni in mare? Colpa dei nodi irrisolti della Brexit, di cui quello sulla pesca nella Manica e solo un dettaglio. La questione più delicata è il confine nordirlandese. Boris Johnson, con una mossa che ha consentito di superare lo stallo nei negoziati, ha accettato che l’Irlanda del Nord rimanesse sia nel mercato comune europeo sia nell’unione doganale, con un confine non in terra, ma in mare. Questa formula ha permesso di evitare che nascesse una "barriera commerciale" tra le due Irlande, ma l’ha fatta nascere con il Regno Unito: le merci che dalla Gran Bretagna arrivano a Belfast devono sottostare a controlli doganali e inizialmente si è anche verificata una drastica riduzione della disponibilità di prodotti alimentari nei supermercati. Per gli unionisti è un tradimento. E perciò chiedono che il Protocollo sia rivisto o, ancor meglio, cancellato. Ma all’ipotesi che l’applicazione dell’accordo possa essere posticipato al 2024 l’Ue ha già risposto picche minacciando ritorsioni.

Sbrogliare il nodo non sarà semplice, tra un governo britannico accusato di aver ceduto sul confine marino (l’Ue proponeva un confine tra le due Irlande, Johnson ha detto no) per arrivare nei tempi stabiliti a un accordo con l’Europa e un’Unione europea a sua volta criticata per non aver previsto quali enormi tensioni politiche un’intesa del genere avrebbe provocato nel Paese. L’Irlanda del Nord resta così un’incompiuta, una sorta d’intralcio. Il mese scorso si sono riaccesi scontri durissimi fra bande di rivoltosi e polizia a Belfast, Londonderry, Ballymena, Newtonabbey, Carrickfergus. Il Loyalist Communities Council ha già dichiarato che, per protesta, ritira temporaneamente il suo sostegno all’accordo del Venerdì Santo. Una minaccia che suona molto più grave delle prove di guerra nella Manica.