Martedì 23 Aprile 2024

"No alla Via Crucis insieme ai russi" L’Ucraina boccia l’idea del Papa

Francesco condanna l’aggressione (senza citare Putin) ma vuole tenere aperto il dialogo con gli ortodossi

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di Nina Fabrizio

Ucraini e russi fratelli non più. O almeno non nei Riti della Settimana Santa. Il neo ambasciatore di Kiev presso la Santa Sede, Andrii Yurash, fresco di credenziali appena presentate al Papa – lo stesso diplomatico che su ordine di Zelensky sta lavorando a un agognato viaggio di Francesco nella capitale ucraina –, ha sonoramente bocciato l’iniziativa di Bergoglio stesso che quest’anno ha voluto, a portare la Croce durante la Via Crucis al Colosseo, una famiglia russa ed una ucraina insieme.

"Capiamo la preoccupazione generale in Ucraina e in altre comunità all’idea di mettere insieme donne ucraine e russe" nella rappresentazione delle stazioni che segnano il percorso di Gesù verso il Calvario, ha twittato Yurash contestando l’iniziativa vaticana e parlando delle sue "possibili conseguenze" sul sentimento dei cristiani ucraini, sia ortodossi, sia cattolici che in linea generale guardano a Francesco come a una figura super partes, magari capace di favorire una de-escalation dell’ostilità russa. Se però comprensibilmente il diplomatico di Kiev ha tentato di alzare un cartellino giallo, per tutto il pomeriggio la Santa Sede non ha replicato alle sue proteste lasciando così intendere che un qualunque passo indietro non è nella logica del Pontefice che ha dedicato alla fraternità la sua ultima enciclica ("Fratelli tutti") e più in generale al progetto di pace e dialogo l’intero pontificato. La reazione di Yurash, che pure ha frequenti colloqui anche in Segreteria di stato e sta diventando una personalità sempre più ascoltata al di là del Tevere, è destinata a cadere nel vuoto dal momento che, dallo scoppio del conflitto, Francesco sta praticando una solerte, crescente e quotidiana condanna della guerra senza mai però scendere nel campo diretto (e minato) della contesa politica.

"Il Papa è un pastore e non un politico", ha sintetizzato non a caso ieri il suo consigliere padre Antonio Spadaro. Tra l’altro, quello che Francesco vuole più scongiurare è l’ulteriore scoppio di una specie di guerra santa che questa volta invece che cristiani e musulmani veda opporsi cristiani tra loro. Una guerra di fatto fratricida, che Bergoglio tenta di schivare rispondendo alle continue provocazioni di Kirill, il capo della Chiesa ortodossa russa più che allineato con il Cremlino, addirittura porgendo l’altra guancia, accelerando su un sempre più possibile secondo incontro faccia a faccia dopo quello storico di Cuba. Il vis a vis che stavolta difficilmente si scioglierà in un abbraccio, potrebbe avvenire a Gerusalemme, concluso il viaggio di due giorni, il 12 e 13 giugno, di Bergoglio in Libano. Un incontro nella Città santa delle tre grandi religioni monoteiste rappresenterebbe di per sé un messaggio ad alto tasso simbolico e potrebbe aiutare a segnare quella distensione che Francesco sta cercando.

I continui proclami lanciati da Kirill contro un Occidente presunto corrotto e debole, supino alla cultura ‘gay’, hanno lasciato sgomento il Papa che con il Patriarca russo aveva trovato in questi ultimi anni un terreno comune proprio, ad esempio, nella comune difesa delle comunità cristiane del Medio Oriente, minacciate e scacciate dai tagliagole dell’Isis. Un’intesa sulla quale però si sono forse stratificati tragici fraintendimenti quasi come se Francesco avallasse un ruolo da guardiano dell’area mediorientale dell’ormai evidentemente sanguinario zar Putin. Ma anche l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, bolla la proposta del Papa come "un’idea inopportuna e e ambigua che non tiene conto del contesto di aggressione militare russa contro l’Ucraina".