Martedì 23 Aprile 2024

Ma per fortuna che c’è (ancora) Checco Zalone

Matteo

Massi

Gaber avrebbe cantato: "Uuh, che noia qui al bar". Sanremo non è un bar, al massimo un piano bar (ad ascoltare certe canzoni). Ma la noia, non necessariamente mortale, rischia di assalire anche il telespettatore più attento. È vero che Amadeus ha già collezionato un paio di record di ascolti, ma è altrettanto vero che, guarda caso, il picco degli ascolti si è verificato nella prima serata con Fiorello e ancora di più, nella seconda serata, con Checco Zalone.

Per dirla ancora come la canterebbe Gaber: per fortuna che c’è il Checco. Scorretto, al punto giusto, per passare all’Ariston e per scombinare la liturgia del festival. E allora ci sta che Zalone canti parole che, negli ultimi tempi, non ci azzardiamo più a pronunciare nemmeno in contesti familiari, per paura che qualcuno ne resti ferito.

Ci siamo autocondannati a un’ipocrisia di fondo ed è una patina che non riusciamo neanche a scalfire. Che la scorrettezza di Zalone vada a intaccare quel manto d’ipocrisia è un bene. Lo fa con un linguaggio diretto, popolare, corrosivo che qualcuno bolla come volgare. Ma è la lingua che di solito parla un comico che sa far ridere e far riflettere (senza bisogno di spiegoni) anche su temi delicati come la pandemia o gli orientamenti sessuali. Spiace che, ancora una volta, nelle reazioni di chi è ossessionato dal politicamente corretto, anche quando si confronta con lo show di un comico, prenda il sopravvento la presunzione non tanto di imporre il proprio pensiero, ma di imporre invece il metodo (e le parole) con cui quel pensiero debba essere espresso.