Venerdì 19 Aprile 2024

Ma ora Greta vada in Cina a manifestare

Gabriele

Canè

Alzi la mano chi ha mai visto un vertice internazionale dare risultati concreti, immediati. Quelli a due, tipo i periodici summit franco-tedeschi, forse mettono ogni volta un mattone nella casa comune. Ma se al tavolo si siedono in 196 come alla COP26 di Glasgow, beh, fa poca fatica Greta a parlare di bla-bla-bla. Sport ovviamente a cui anche lei e tanti ragazzi hanno allegramente partecipato sfilando sotto il cielo piovoso della Scozia. Eppure, qualcosa si deve fare al capezzale del clima, e qualcosa anche da questo incontro è venuto fuori. L’impegno della Banca mondiale, un punto sulle emissioni di gas serra, la lotta alla deforestazione, l’accordo di 40 Paesi per abbandonare il carbone nella produzione di energia elettrica.

In questo come in tante altre occasioni plenarie, nasce però un piccolo problema: che a giocare lo stesso gioco non ci sta il più grande inquinatore dell’orbe terracqueo; il più indiscusso "evasore" di ogni controllo sanitario e ambientale: la Cina. Che tanto per stare "in clima", ha annunciato che produrrà (e consumerà) un milione di tonnellate in più al giorno di carbone. Se a Pechino aggiungiamo l’India, che ha seri problemi di riconversione energetica, facciamo circa 3 dei 7 miliardi e mezzo di persone che popolano il mondo. Dunque? Stando così le cose, non si può certo alzare bandiera bianca, o al contrario dichiarare guerra a Xi, che guerra la vuole fare a Taiwan. Si può e si deve comunque prendere per buono, anche se insufficiente, quello che si decide a Glasgow, e semmai spiegare ai giovani pasionari che le manifestazioni dovrebbero farle a Pechino e non solo in Occidente. Quanto all’Italia, sono dolori: noi non abbiamo fonti energetiche, e il nucleare lo abbiamo abbandonato prima di iniziarlo. Però tutto deve essere green, elettrico e qualcuno lo deve produrre. Non facile. Perché il bla-bla-bla "sostenibile" fa rumore, ma non fa luce.