Martedì 23 Aprile 2024

Lo zar è finito nel mirino dei falchi

Cesare

De Carlo

uccisione di Vladlen Tatarsky è di "alto profilo". Non lo sospetta l’Intelligence americana. Lo dice quella russa che fa capo allo Fsb, cioè al Kgb d’epoca sovietica. E questa volta va creduto. Per tre motivi. Uno: lo Fsb è la voce di Vladimir Putin, che ne era uno dei capi quando il 31 dicembre 1999 Boris Eltsin ebbe la malaugurata idea di sceglierlo come successore. Due: anche Tatarsky era la voce di Putin, fanatico propagandista, ucraino russofilo e russofono. Tre: l’attentato è avvenuto a San Pietroburgo, città simbolo sia per Putin che per la Russia postcomunista. Putin vi è nato e ne è stato l’amministratore. Più importante il simbolismo. La città si chiamava Leningrado quando l’Urss era la patria del comunismo. Fu Eltsin a ribattezzarla come ai tempi degli zar con l’aggiunta di San, facendone la Roma della Chiesa russo ortodossa. E fu sempre Eltsin a trasportarvi la tomba di Nicola II e a raccomandarne la canonizzazione. Per questi motivi l’attentato è di "alto profilo". Più di quello che lo scorso agosto costò la vita a Darya Dugina, figlia di Alexander, l’ideologo e l’ispiratore del revanscismo nazionale. Putin ne viene investito nel prestigio e nella stabilità. Il suo Fsb fa una figuraccia. Accusa il governo di Zelensky e arresta come diversivo il giornalista americano. Questa è una possibilità. Ma è anche possibile che i "ragni cannibali" (portavove di Zelensky) vadano ricercati fra i critici del presidente dittatore. In primo luogo in Yevgeny Prigozhin, il capo del famigerato gruppo Wagner, per il quale la campagna ucraina è una vergogna storica. In secondo luogo fra gli oppositori della diaspora esterna e interna. Ma non sarà facile rovesciare Putin. Lo minacciano i falchi più che le colombe. E perso per perso può ricorrere al nucleare. Biden e gli altri ne sono consapevoli? Facciamo gli scongiuri. ([email protected])