Raffaele
Marmo
La guerra in Ucraina ha mostrato fin dall’inizio come la Germania, da Stato centrale della costruzione europea, sia diventata una sorta di "buco nero" della coalizione occidentale e atlantica fondata sull’Unione e sulla Nato. Non è un caso che in ognuno dei passaggi cruciali, dei tornanti più impervi di questi terribili undici mesi di conflitto, il governo di Berlino si sia rivelato l’anello debole del fronte anti-Putin.
Lo è stato fin da subito sul versante degli aiuti militari a Kiev. Ha continuato a esserlo su quello del tetto al prezzo del petrolio e del gas, oltre che sull’approntamento di un nuovo Recovery europeo per fronteggiare gli effetti economici e sociali del caro-energia. Tant’è che ancora oggi siamo arrivati, al massimo e con grave ritardo, a mezzi accordi più che a intese che abbiano il respiro di un Piano continentale per l’indipendenza energetica.
La novità, che non è, però, una sorpresa, è che di fronte a un nuovo bivio drammatico e strategico della guerra, la Germania continua a fare la Germania e, con tentennamenti continui e convulsioni a giorni alterni sull’invio dei carri armati Leopard 2, finisce per rendere più fragile e meno compatto il fronte occidentale, quando si è ampiamente dimostrato che la non fragilità e la compattezza nel sostegno a Kiev sono state e sono l’arma più efficace per piegare l’aggressività dello Zar. Si potrebbe obiettare che quella di Scholz è solo prudenza, per contenere la linea oltranzista di polacchi, baltici, inglesi, e non solo. Il problema, però, che anche Francia, Italia e Usa sono "prudenti", ma non per questo minano né l’Unione europea né la Nato. E allora viene da sospettare che dietro l’atteggiamento di Berlino vi sia altro, un grumo di interessi economici, divisioni interne alla maggioranza rosso-verde-gialla e relazioni più o meno grigie del passato con l’Impero di Putin. Ed è questo che fa la differenza, non la prudenza.