Lunedì 6 Maggio 2024

La funivia si impenna e vola giù. Noi, la strage e lo choc di quel video

Bufera sulla Rai per 24 secondi di filmato. La pm di Verbania: inopportuno, i parenti non avevano le immagini

La scena della strage per la caduta della funivia del Mottarone (Ansa)

La scena della strage per la caduta della funivia del Mottarone (Ansa)

Lo strapotere delle immagini sulle parole è la dimensione del tempo. Ventiquattro secondi si possono raccontare, ma nello scorrere delle parole è già tutto passato. Una fotografia inchioda la storia al presente. Un video invece fa molto di più: costringe chi lo guarda a vivere attimo dopo attimo la corsa verso il futuro, con tutte le conseguenze emotive di un futuro tragico e già noto. Immagini sconsigliate a un pubblico sensibile. Sarà una reazione paradossale all’onnipresenza delle telecamere nella nostra vita. Sarà che siamo tutti sensibili al tempo. Il video sulla strage del Mottarone ha urtato tante persone. A cominciare dalla sindaca di Stresa Marcella Severino: "La vista di questo video mi ha lasciato basita". Contro la diffusione del filmato è anche il procuratore di Verbania Olimpia Bossi, "per il doveroso rispetto che tutti siamo tenuti a portare alle vittime, al dolore delle loro famiglie, al cordoglio di una intera comunità". Quelle immagini, ricorda, sono state estrapolate dall’impianto di videosorveglianza della funivia e sono state acquisite dagli inquirenti. E sono atti di cui "è vietata la pubblicazione anche parziale in quanto relative a un procedimenti ancora in fase di indagini preliminari", oltre che "immagini dal fortissimo impatto emotivo oltretutto mai portate a conoscenza neppure ai familiari delle vittime".

Il presidente della Rai, Marcello Foa, invita il servizio pubblico a valutare attentamente tutte le implicazioni, a cominciare da quelle etiche, nel rispetto delle vittime. Esiste un limite al sacrosanto diritto di cronaca, osserva il vice presidente del Senato, Roberto Calderoli, mentre i social parlano di pornografia del dolore: "Quel video non aggiunge nulla alla notizia, solletica solo le curiosità più basse".

Invece aggiunge il tempo. E forse non è per curiosità ma per empatia che molti sono andati a guardare. Di basso non c’è niente. Non è una sequenza pulp o una gara a chi si impressiona di più. Non è il brivido dell’ottovolante. Sono i terribili 24 secondi, messi uno in fila all’altro, di una raggiante domenica di maggio in cui tutti siamo stati coinvolti. Vederli non è come sentirli raccontare. E chi ha pianto per quei 14 morti, chi ha sperato per l’unico superstite bambino, non fa loro un torto se trova il coraggio di aprire gli occhi. Così come non li protegge voltandosi dall’altra parte e dimenticando. In quel filmato potente c’è tutta la vita con i suoi rischi, le sliding doors, i paradossi. E il tempo appunto. Ecco là in fondo il lago, il verde degli alberi. E appeso a un filo il giocattolo con la pancia rossa diretto verso la cima della montagna. Il timer sta per scattare. Il piccolo Eitan probabilmente sta dicendo al suo papà "siamo arrivati". Si intravedono solo loro due in prima fila sul baratro di quei 24 secondi che stanno per diventare anche nostri.

La cabina si avvicina alla stazione con l’imperturbabilità della nave che attracca e poi improvvisamente si impenna, mostra la pancia, scivola indietro prendendo velocità: uno, cinque, dieci secondi, cento metri. Lo schianto contro il pilone è fortissimo, nessuno riesce a rimanere in piedi. La torre fa da trampolino e il braccio della funivia si stacca, il salto nel vuoto è l’ultima sequenza. L’impatto non si vede, viene inghiottito dalla gobba della montagna che lo risucchia. Buio per noi, buio per loro. E intanto in un altro frame l’addetto alza la testa e capisce che qualcosa non va, vede la fune spezzarsi, mette nel suo balletto da marionetta rotta impotenza e disperazione.

Questa non è esattamente pornografia. E comunque non è la prima volta. Lo tsunami di piazza San Carlo a Torino il 3 giugno 2017 fece tre morti e 1.672 feriti ma è grazie ai filmati se abbiamo capito come si è formata l’onda, se abbiamo avuto l’impressione di essere lì. E siamo stati sul monte Meron in Israele nel dramma della folla in fuga, fra le bare di Bergamo in mezzo alla tempesta del Covid, coperti di polvere sotto le Twin Towers, annichiliti in Thailandia il 26 dicembre 2004 quando onde alte venti metri fecero 230 mila vittime, vicini a Eriksen mentre il suo cuore si fermava. Insieme dentro il tempo che ci riguarda tutti, che per tutti ha sempre una sorpresa e una lezione.