Sabato 27 Luglio 2024
MADDALENA DE FRANCHIS
Cronaca

Da Venezia a Pechino. "Noi come Marco Polo, arriveremo in Cina. Ma in bicicletta"

Alberto Fiorin e Dino Facchinetti sono partiti lo scorso giovedì. "Un tour di 85 tappe, faremo 140 chilometri al giorno e passeremo anche per le ambasciate. Il nostro viaggio diplomatico"

Alberto Fiorin, 64 anni, e Dino Facchinetti (67) dopo la prima tappa in Slovenia

Alberto Fiorin, 64 anni, e Dino Facchinetti (67) dopo la prima tappa in Slovenia

Venezia, 28 aprile 2024 – Quando risponde al telefono, poche ore prima della partenza, è intento a trascinare la sua bicicletta sotto la pioggia battente di questa primavera strampalata, fra le calli veneziane. Ma non sono certo poche gocce a impensierire Alberto Fiorin, 64 anni, che – assieme al compagno di tante avventure su due ruote Dino Facchinetti, 67 anni – percorrerà in bici la via della Seta sette secoli dopo il concittadino Marco Polo. Partiti giovedì da Venezia, a bordo di due biciclette gravel (non elettriche e adatte allo sterrato), munite di 4 borse dal peso complessivo di 18 chili, Fiorin e Facchinetti pedaleranno per 100 giorni e 12mila chilometri.

Fiorin, com’è nata l’idea?

"Viene da lontano. Il 25 aprile 2001 ero partito da Venezia con un gruppo di nove ciclisti per raggiungere Pechino in bicicletta. A Jesolo, al venticinquesimo chilometro della prima tappa, incorsi in un incidente che mi costrinse al ritiro. Ma quel desiderio di pedalare fino a Pechino e rendere omaggio a Marco Polo non si è mai spento. Dopo 23 anni e molti altri viaggi su due ruote, eccomi ancora qui".

Perché proprio in bicicletta?

"È il mezzo più consono per mille ragioni, tra cui, innanzitutto, la lentezza del viaggio. Settecento anni fa, Marco Polo disponeva di mezzi altrettanto lenti, il suo viaggio durò tre anni. Ripercorrere le terre del ‘Milione’ con veicoli più rapidi non avrebbe avuto senso".

Com’è articolato il vostro itinerario?

"Attraverseremo 12 nazioni: Italia, Slovenia, Croazia, Serbia, Bulgaria, Turchia, Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan e Cina. L’itinerario è composto di 85 tappe, per una media di 140 chilometri giornalieri. A ciò si aggiungono 15 giorni dedicati a visite e incontri istituzionali in varie città, da Sofia, in Bulgaria, a Istanbul, fino a Pechino".

Il vostro obiettivo è diffondere un messaggio di pace attraverso la bicicletta. In che senso?

"La bici è simbolo di un approccio lento e non invasivo per il territorio. Le nostre motivazioni non sono poi così dissimili da quelle che convinsero Marco Polo ad affrontare il suo viaggio in Catai: la voglia di conoscere altri mondi e altri popoli, ed entrarvi in contatto per favorire il dialogo e la comprensione reciproca".

La vostra spedizione, infatti, è stata inserita nel calendario delle iniziative promosse dal comitato istituito dal ministero della Cultura per celebrare i settecento anni del viaggiatore.

"È stato un onore ricevere il loro patrocinio. Il loro ufficio per la ‘diplomazia sportiva’, recentemente istituito, ci ha aiutati a prendere contatti con le istituzioni e ottenere i visti d’ingresso necessari".

Vi siete allenati per riuscire nell’impresa?

"Non siamo atleti agonisti, ma viaggiatori. Abbiamo portato a termine altri lunghi viaggi su due ruote in varie parti del mondo e sappiamo bene che questo tipo di esperienze non richiede solo gambe buone, ma soprattutto ‘testa’. Capacità di adattarsi, consapevolezza che si andrà incontro a problemi per il reperimento di cibo e acqua, dal momento che attraverseremo anche zone desertiche".

Oltre a presiedere una società ciclistica storica (il ‘Pedale veneziano’), lei ha scelto di non prendere la patente e non guidare l’auto.

"È una scelta di rispetto dell’ambiente: fin da giovane ho sempre preferito i mezzi ecologici, come la bici o il trasporto pubblico. I miei lunghi viaggi sono la dimostrazione che basta un mezzo semplice e ‘spartano’ come la bici per portarci dall’altra parte del mondo".

Tornando alla vostra spedizione, non c’è un pizzico di paura per la precedente esperienza del 2001, conclusasi anzitempo in modo così sfortunato?

"Sarebbe umano: ora siamo più anziani, la nostra vuol essere anche una sfida ai limiti d’età. Se ho paura che accada di nuovo? No, da quel punto di vista ho già dato (ride). Vuole sapere perché vorrebbero partire in tanti, ma poi quasi nessuno lo fa davvero?".

Me lo dica.

"Perché gli ostacoli sono nella nostra mente. Siamo abbarbicati a tante cose – oggetti, comodità, convinzioni – di cui crediamo di non poter fare a meno, ne siamo dipendenti. Se riuscissimo a eliminare il superfluo dalle nostre vite – proprio come facciamo con i nostri bagagli, in bicicletta – saremmo tutti molto più felici".