Mercoledì 24 Aprile 2024

I re degli scacchi e le sfide infinite "E se accorciassimo le partite?"

Dal 24 novembre al 16 dicembre va in scena il duello per il titolo mondiale tra Carlsen e Nepomniachtchi. Lo scrittore-scacchista: "I tempi si dilatano, è il fascino di questo sport incompatibile con la tv attuale"

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di Riccardo Jannello

Il gambetto di donna è un’apertura classica degli scacchi, ma quanti la riconoscerebbero vedendola in tv? La diffusione del gioco è di nuovo in salita dopo un periodo di crisi e anche l’Italia con i suoi 15mila agonisti recupera dalla pandemia. Ma alla vigilia della sfida mondiale fra il campione in carica Magnus Carlsen e lo sfidante Ian Nepomniachtchi, il detentore del titolo pone un problema legato alla durata dei match, spesso oltre le quattro ore, che li renderebbero poco appetibili alle tv: "Vorrei che il limite di tempo fosse di due ore o meno, abbastanza veloce per un’azione continua ma abbastanza lento da essere spiegato dai commentatori". "Per forza dice così – afferma Adolivio Capece (foto sotto), scacchista e scrittore –, nel gioco rapido è imbattibile".

Ma un problema mediatico si pone nel gioco degli scacchi: la lunghezza delle partite...

"Non è un gioco per le tv, purtroppo, per la durata delle partite e anche perché quando le mosse sono rapide è difficile capirle anche per uno come me. Spesso si vedono al rallentatore solo quelle che portano allo scacco matto, ma il resto è davvero difficile da seguire".

Inoltre c’è chi sostiene ci siano troppi pareggi. Si possono evitare?

"No, nelle competizioni c’è eventualmente alla fine l’armageddon, una partita sprint per decidere il vincitore. Nelle prime sfide il pareggio è quasi d’obbligo, è difficile che un campione sbagli due volte, è facile che su dieci sfide ci possa essere una vittoria a testa e le altre finiscano pari".

Può qualche tutorial aiutare a capire di più?

"Su YouTube ci sono spiegazioni di partite, ma il problema è che bisogna appassionarsi al gioco, sennò è tutto molto difficile".

Per i tempi del gioco?

"Perché ci vuole pazienza, memoria, impegno nello studiare le mosse, nel costruirsi un piano e una strategia; anche follia e fantasia, ma certo non ci vuole fretta, nonostante a volte la necessità di schiacciare l’orologio faccia sembrare tutto più svelto".

Gli americani si portano le scacchiere al parco e organizzano molte partite: come mai?

"È un modo per fare soldi: giocano solitamente un dollaro a partita e lo fanno per ore, tirando su un po’ di quattrini. Un giocatore di questo tipo era Humphrey Bogart, lui stesso ha confessato di avere racimolato così i primi soldi. In Casablanca lo si vede giocare, ma sicuramente per lui è stato meglio fare l’attore...".

Anche in Italia molti si dicono appassionati di scacchi.

"Mario Draghi ci gioca anche sul telefonino, Vialli li usa come base per l’allenamento, e negli spogliatoi della Juventus Dybala tenta di coinvolgere i compagni di squadra".

E comunque ci vuole qualche stimolo.

"Certo, dopo l’uscita de La regina degli scacchi su Netflix c’è stato il boom, come per le grandi sfide che hanno fatto la storia, prima Fischer-Spassky nel 1972 quindi Kasparov-Karpov fra il 1984 e il 1985: la loro prima finale fu sospesa proprio perché diventata troppo lunga".

Un consiglio, allora, per chi vuole avvicinarsi alla scacchiera?

"Imparare a evitare gli errori, come spiega Edgar Allan Poe ne La lettera scarlatta".

E come si può fare?

"Metterci tanta attenzione. E se giochi con il computer non disperarti se perdi: lui non si distrae mai".