Mercoledì 2 Ottobre 2024
VIVIANA PONCHIA
Cronaca

I piatti italiani all’estero. Gli sfregi (in cucina) alla Carbonara: "Stravolto il 60% delle ricette"

L’indagine Coldiretti: vengono utilizzati ingredienti non appartenenti alla tradizione e talvolta contraffatti "Un danno perché le nostre esportazioni potrebbero triplicare". Ora il giro d’affari vale 120 miliardi all’anno .

I piatti italiani all’estero. Gli sfregi (in cucina) alla Carbonara: "Stravolto il  60% delle  ricette"

I piatti italiani all’estero. Gli sfregi (in cucina) alla Carbonara: "Stravolto il 60% delle ricette"

La peggiore della storia viene preparata in un video di Tasty Japan. Spaghetti spezzati cotti al microonde con acqua, grumi di sale, ammassi di bacon, brodo di pollo essiccato, panna e prezzemolo. Questo è oltraggio, blasfemia. Infatti un utente disgustato commenta: "Amiamo il vostro sushi, perché uccidete la nostra pasta?". Possiamo chiudere un occhio di fronte al parmigiano al posto del pecorino, anche sul guanciale. Ma c’è un limite a tutto.

E Coldiretti insorge. Contro la carbonara taroccata, copiata e sbagliata più di ogni altra ricetta. E a cascata contro tutte le storpiature della nostra cucina, gli affronti in cui si sono imbattuti quasi 6 italiani su 10 in viaggio all’estero. Il "fake in Italy" fa male alla tradizione ma non solo: le esportazioni potrebbero triplicare se venisse fermata la contraffazione alimentare internazionale che vale oggi 120 miliardi di euro ed è causa di danni economici e di immagine. La prossima volta che trovate nel menù di un ristorante inglese gli spaghetti alla bolognese o la "pasta with meatballs" potete chiedere di fare quattro chiacchiere con lo chef e spiegargli che le polpette sono monopolio di vostra nonna, che magari è il piatto preferito di Martin Scorsese ma esiste solo nel cartone animato Lilli e il vagabondo. Con il 60% delle ricette nostrane, fuori confine non ci prendono: dai "maccheroni cheese" annegati nel cheddar alle fettuccine Alfredo, dalla pizza con l’ananas all’abbinamento letale cappuccino-pasta. Ma l’affronto peggiore si compie ai danni della carbonara, umiliata dal "Romano Cheese" fatto con latte di mucca e non di pecora e dall’orrore del pisello surgelato. C’è da dire che anche gli italiani su questo primo di bandiera spesso vacillano, a cominciare dall’etimologia che non può essere negata se richiesta: c’è chi attribuisce il nome ai movimenti carbonari, a Carbonia, al cuoco di Carbonia che lavorava a Roma, anche al pepe che assomiglia al carbone.

E sulla responsabilità degli ingredienti viene coinvolto persino un soldato americano: durante la Seconda Guerra Mondiale andò in una trattoria a Trastevere e chiese che la sua razione K venisse cucinata. Conteneva, guarda un po’, uovo liofilizzato, bacon e cream fresh. Nel dubbio, astenersi. Ma sull’esecuzione bisogna dare il buon esempio ai barbari, insegnare ai bambini l’Abc dell’orgoglio nazionale: guanciale a dadini fatto "sudare" in padella.

Pecorino romano grattugiato e con due uova sbattute e una manciata di pepe. Pasta di semola di grano duro (non si scherza) fatta saltare con il guanciale. Condimento cremoso ma senza ombra di creme aggiunto nel finale a bagnomaria. E di sicuro ci sarà un errore anche qui, pare non ci sia carbonara senza errore, ma senza la malizia delle proposte acchiappaturisti o l’arroganza della variante Smoky Tomato Carbonara lanciata sulle pagine gourmand del New York Times e affossata dai puristi.