Sabato 9 Novembre 2024
ALESSANDRO ANTICO
Cronaca

Ex patron del Livorno. Gli affari di Spinelli, tra porto e pallone

Guidò il club in Uefa. Poi le frizioni con tifosi e città

Ex patron del Livorno. Gli affari di Spinelli, tra porto e pallone

Ex patron del Livorno. Gli affari di Spinelli, tra porto e pallone

Quando arrivò qui era il Sciu Aldo, in genovese spinto. Poi a Livorno, dove i nomi (e a volte anche altro) hanno la durata di un gatto sull’Aurelia, diventò il Giallone per via del suo impermeabile cadmio che indossava per scaramanzia durante le partite. È andato avanti all’incirca un ventennio – ogni riferimento è puramente casuale – e il suo rapporto con il popolo amaranto si è incrinato progressivamente. I ’credits’ con cui si presentò nella città dei Quattro Mori erano niente male, a dirla tutta. Con il Genoa di Aguilera, Skuravy, Ruotolo e Torrente, allenati da Osvaldo Bagnoli, arrivò in finale di Coppa Uefa. Poi un’uscita non proprio idilliaca e, dopo qualche tempo, lo sbarco a Livorno.

Sì, sbarco. Perché Spinelli ha fatto il presidente di calcio per passione, diciamo così, dal momento che la sua principale attività era quella di imprenditore portuale: Spinelli Group, movimentazione merci. Quale miglior asset di un altro porto per rifarsi una verginità e allungare la vita degli affari?

Ma l’abbraccio della città, rossa, non fu sempre dei più affettuosi, soprattutto cammin facendo. Come quegli amori che partono con una grande infatuazione e poi finiscono più o meno con il lancio delle stoviglie.

Certo, Aldo Spinelli salvò il Livorno da un altro fallimento e lo sollevò dall’anonimato della serie C (ora è in D), riportandolo in A dopo più di cinquant’anni. Lo fece collezionando colpi su colpi, consolidando la posizione di un Igor Protti non più giovanissimo ma capace di condurre la truppa a suon di gol fino alla cadetteria.

Poi fu un sogno dietro l’altro: i fratelli livornesi doc Cristiano e Alessandro Lucarelli, convinti a indossare la maglia amaranto anche grazie ai buoni uffici di Galante. E l’allenatore Donadoni, la scoperta di Chiellini e tanti altri giovani, perfino la Coppa Uefa che a queste latitudini si era vista solo in tv. Determinante l’amicizia con Luciano Moggi, con Moratti, con Berlusconi e Galliani, che mandavano giocatori in prestito al Livorno. Riuscì perfino a convincere l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che era livornesissimo anche se non pareva, ad assistere a una partita allo stadio.

Ma a Spinelli interessava il porto. La vera torta che gli faceva gola era quella. Era lì, fra gru e portacontainer, che ruotava il business milionario di famiglia. Il calcio per lui era un giochino nel quale, però, ormai non si guadagna più come guadagnavano i presidenti di un tempo. E i tempi, si sa, quando cambiano e tu non stai al passo ti travolgono.

Lamberti, Cosimi, Nogarin, infine Salvetti, quattro sindaci si sentirono chiedere con molta insistenza sempre la stessa cosa: "Io investo sul calcio, ma in cambio datemi più spazio in porto", detto per capirci. D’altronde, come emerso dalle intercettazioni di questa inchiesta, "bisogna lavorare su cose grosse", avrebbe detto. Do ut des: non è proprio quel che si dice un sano principio d’amore.

Nessuno raccolse (o abboccò). La passione fra lui e la città andò verso i titoli di coda. Nessuno spinse mai per fargli mettere davvero le mani sulle banchine come avrebbe voluto lui, che poi manco è di sinistra. O forse lui non fece mai abbastanza per meritare fino in fondo la fiducia dei livornesi. Che sanno amare. Ma anche mandarti a quel paese con la forza di una libecciata.