Mercoledì 24 Aprile 2024

La sentenza: "Crocifisso in classe? Solo se va bene a tutti"

I giudici: "Non è un simbolo che discrimina e può stare con quelli di altre fedi religiose. Ma deve essere la comunità scolastica a decidere"

Un crocifisso in un’aula scolastica

Un crocifisso in un’aula scolastica

Quasi un secolo dopo il suo ingresso a scuola, quando campeggiava nelle aule scolastiche per espresso obbligo regolamentare (erano gli anni Venti del XIX secolo), il crocifisso a scuola potrebbe finalmente cessare di essere fonte di dissidi, battaglie, contenziosi legali e, soprattutto, contrapposizioni ideologiche. La sentenza n. 24414 emessa ieri dalle sezioni unite della Cassazione ha stabilito che il crocifisso "non è discriminatorio" e l’aula di una classe "può accogliere la sua presenza quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli religiosi di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi".

La sentenza ha in sé una portata rivoluzionaria perché per la prima volta si dà una indicazione giurisprudenziale imprescindibile sulla convivenza tra simboli religiosi all’interno degli istituti scolastici. Un pronunciamento di notevole portata che conferisce alla scuola nel suo insieme una forte assunzione di responsabilità e che segue un orientamento già assunto dalla Cassazione in questi anni (ci fu il caso di un alunno sikh che non voleva togliere a scuola un piccolo pugnale perché simbolo religioso, la sentenza fu elaborata dall’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia e rimandava alla scuola la responsabilità di trovare una soluzione).

La sentenza, che attribuisce al crocifisso un carattere non discriminatorio perché si riconosce in esso un simbolo che lega "l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo", trae origine dalla causa aperta da un docente (a cui ieri la Cassazione non ha riconosciuto la richiesta di risarcimento) che non voleva fare lezione alla presenza del crocifisso, ritenendolo lesivo della sua libertà di coscienza in materia religiosa. Al contrario, la dirigente scolastica, rifacendosi al regolamento del Ventennio fascista, non avendo mai il Parlamento messo ordine alla questione con una legge, ne aveva imposto l’affissione. La sfida ora esce dalla Corte suprema e torna nella quotidianità delle aule scolastiche. Il modello di laicità italiano (così distante ad esempio dalla laicité francese che elimina ogni simbolo di fede) e soprattutto la cosiddetta comunità educante formata dal complesso di scuole e famiglie, in un’Italia che non è più solo quella dei Peppone e dei don Camillo ma anche quella delle seconde generazioni di migranti, riuscirà a scrivere in ogni aula, ogni giorno, una buona pagina di convivenza?