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Era buio ormai, e del ragazzo che si era offerto guidarmi tra i ruderi di Pentedattili non c’era più nessuna traccia. Il tempo di distogliere lo sguardo da lui un momento, e quello aveva voltato le spalle e se n’era andato da dove era venuto. Non lungo la strada che porta al paese, quello mi parve sicuro, visto che in quel caso lo avrei intravisto. Evidentemente era tornato indietro verso la rupe, seguendo la stretta via che si inerpica tra le case abbandonate. Sì, era così. Se sforzavo la vista, nel buio insipiente potevo intravederne l’ombra, o almeno così mi sembrava, intuendo il rumore di qualche pietruzza scalciata, fino a che nulla più si mosse.
Un pazzo. Ma dove andava? Forse conosceva qualche sentierino alternativo per raggiungere il paese nuovo, magari giù per la rupe, per evitare i tornanti. Di seguirlo non se ne parlava. Non mi restava che muovermi da solo, per la strada che conoscevo. Ma ero come paralizzato. Quel posto era spettrale. Di colpo avevo quasi paura di muovermi, di sbagliare strada, di fare un passo falso e ritrovarmi nel dirupo. La luce poi, ormai era inesistente.
L’ultimo quadrante di cielo illuminato, giù a ovest, emanava un bagliore ormai inutile. Bestemmiai ad alta voce. Poi mi ricordai di essere di fronte a una chiesa. Vedevo l’ombra del campanile a non più di dieci metri, e intuivo la strada che sulla destra mi avrebbe ricondotto verso il chiosco. Ma dov’era il chiosco? Non lo vedevo più. L’insegna si era spenta, il cameriere evidentemente era andato via.
Rimanevo solo io, in tutto quel maledetto posto abbandonato, e non mi restava altro che provare a muovermi in fretta. Così iniziai a fare, ma per il buio mi costava fatica anche solo fare due passi uno dopo l’altro. Mi sorpresi a parlare ad alta voce e a rasentare il muro. Immaginai di farmi prendere dal panico, impaurirmi per un’ombra, mettermi a correre, poi cadere, farmi male, rimanere lì come un pirla e finire per dover chiamare aiuto col cellulare. Ma a proposito: infilai la mano in tasca, il cellulare ha una torcia, viva la tecnologia. Lo accesi e inquadrai la strada che avevo davanti. A sinistra la chiesa, buia e lugubre. A destra il belvedere e lo strapiombo. Davanti a me un trivio di vicoletti. Il primo proseguiva tra due file di palazzi abbandonati, il secondo spariva a destra sotto al livello dei miei piedi, lungo le case abbarbicate sul costone di roccia.
Il terzo vicoletto doveva per forza essere la stradina principale, quella che avevo visto fino a poco prima, con la luce, e che scendeva a valle procedendo per tornanti, fino all’ingresso del paese, al chiosco e alla strada asfaltata. Stavo per imboccarla, quando un fruscio mi fece girare di scatto. Puntai il fascio di luce del mio smartphone nel nulla. La strada alle mie spalle si inerpicava tra i palazzi, lì dove era sparito quel bastardo che mi aveva messo in questa situazione. Ma tutto era fermo. Non c’era nulla. Tutto immobile, eccetto il vento col suo lamento e qualche imposta che tremava in lontananza.
“Ok, andiamo”, dissi al vento. E intrapresi quella che speravo essere la strada del ritorno.
8. Continua
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