"IL PROCESSO DI TRANSIZIONE energetica non è stoppabile. Ormai le rinnovabili hanno mostrato una competitività superiore. Sono per definizione positive da un punto di vista ambientale, si è capito che sono anche economicamente convenienti per la produzione di elettricità, sono socialmente utili e garantiscono anche l’indipendenza energetica". Così Francesco La Camera (foto), rieletto per il secondo mandato segretario generale dell’Irena, l’agenzia internazionale dell’energia rinnovabile, all’assemblea annuale tenuta ad Abu Dhabi.
Il conflitto in Ucraina ha rivelato la fragilità del sistema energetico basato sulle energie fossili e ha fatto emergere la richiesta di sicurezza e indipendenza energetica. Le rinnovabili sono una risposta anche a questo?
"Nel breve periodo le difficoltà della catena di offerta impatteranno anche sulla transizione energetica. Nel breve periodo l’impatto non è positivo, ci sarà un certo rallentamento, ma sul lungo periodo il trend verso le rinnovabili non cambierà, consolidando una transizione verso un sistema energetico dominato dalle rinnovabili. Che, oltre ad evitare emissioni, sono decentrate, possono essere prodotte in quantità diversa in tutto il mondo, e da una molteplicità di attori, il che significa anche che è molto più difficile che si creino dei cartelli o che si utilizzi in termini geopolitici l’energia. Ecco perché i paesi stanno accelerando il passo, vedi i provvedimenti europei, vedi quelli americani, che al di là di alcuni aspetti accusati di protezionismo sono una spinta storica degli Stati Uniti verso un sistema non più centrato sulle fossili".
Da un punto di vista climatico, siamo ancora lontani dal grado e mezzo, gli sforzi fatti sono importanti ma inadeguati.
"È così. Abbiamo installato negli ultimi anni attorno ai 260 GW all’anno, sempre con un trend crescente. Ma per mettere il sistema in un percorso coerente con gli accordi di Parigi noi dobbiamo triplicare la capacità installata. Non è in discussione la transizione, noi andremo a un nuovo sistema energetico. La domanda è se ci arriveremo in tempo per evitare gli effetti più drammatici del cambiamento climatico".
Questo è fattibile?
"Non è fattibile se non si provvede ad intervenire pesantemente sulle infrastrutture sia fisiche come le reti che su quelle legali, politiche e normative e sulla creazione delle professionalità che servono. Bisogna rimuovere le barriere. Il vecchio sistema energetico si è affermato per la presenza di infrastrutture, peraltro non ancora globalmente presenti e questo si è creato nel tempo. Il nostro problema è che non abbiamo il lusso del tempo. Bisogna correre. Altrimenti il giust sviluppo di continenti come l’Africa produrrà nuove emissioni".
Simon Stiel, il nuovo segretario generale dell’UNFCCC ha detto che COP 28 potrebbe essere l’ultima opportunità per invertire il trend e salvare l’obiettivo degli 1.5 gradi. Concorda?
"Quello che è sicuro è che non siamo assolutamente nel percorso che ci porterà al grado e mezzo e che bisogna assolutamente cambiare velocità e scala della transizione. Noi alla conferenza di Dubai proveremo a dare la risposta sul cosa occorre fare".
Ma dove trovare i soldi? L’inviato climatico americano Kerry ha detto che gli stati non hanno abbastanza risorse che è indispensabile l’aiuto dei privati.
"E ha ragione. È inevitabile. Certamente ci sarà una politica di intervento da parte degli stati ma bisognerà lavorare con le grandi utilty per ottenere quel leverage di risorse che è necessario se veramente vogliamo accelerare la transizione".
Le rinnovabili hanno visto negli ultimi dieci anni scendere drammaticamente i prezzi, ma nel 2022 il trend di discesa sembra essersi fermato, complici i rincari di materie prime e trasporti. È un problema che può rallentare la transizione?
"Quello che conta è che la forbice dei prezzi rispetto all’energia prodotta con fonti fossili si è allargata. Le rinnovabili sono e restano le più competitive. Ecco perché l’80% degli investimenti è sulle rinnovabili. Perché convengono e in più danno indipendenza energetica".
Se questo è vero, ha senso ripensare al nucleare?
"Noi non ci occupiamo di nucleare, perché non è considerata una energia rinnovabile. Ma il punto è che tutti i paesi hanno detto che da qui al 2030 si gioca il futuro dell’accordo di Parigi e che dobbiamo ridurre le emissioni del 43%. Questo vuol dire che per raggiungere questo risultato abbiamo bisogno di tecnologie che danno un impatto oggi, di impianti che possano essere costruiti velocemente. Il nucleare può farlo? La risposta è no. Il nucleare per far fronte alla crisi climatica non è una opzione".