Venerdì 26 Aprile 2024

Il potere illegittimo

Diceva Francesco Cossiga che “la Corte costituzionale italiana è un organo di arbitraggio politico esercitato in finta forma giurisdizionale”. Ne abbiamo avuta conferma venerdì con la sentenza che ha bloccato la riforma della Pubblica amministrazione perché la regione Veneto non era d’accordo con le novità introdotte dal ministro Marianna Madia. Una sentenza “politica” (ne è convinto anche Matteo Renzi, che però non s’azzarda a dirlo), nel senso che politico è stato l’obiettivo e politici saranno gli effetti. Non è un’affermazione provocatoria: anche i membri della Consulta sono esseri umani, hanno le loro idee, le loro antipatie, le loro “priorità democratiche”. Attualmente i giudici costituzionali sono 14, il quindicesimo si è dimesso. Tra gli addetti ai lavori è noto che almeno 7 hanno in odio il premier e lo considerano una minaccia per la democrazia. Sono i cinque giudici provenienti dai ranghi della magistratura, la giurista Silvana Sciarra (sconsideratamente raccomandata dal renziano Giuliano Amato) e il presidente Paolo Grossi. In caso di parità, il voto del presidente vale doppio.

Si può pertanto dire che la Corte Costituzionale è oggi egemonizzata da una maggioranza antirenziana, ovvero antigovernativa. Da organo di garanzia, si trasforma così in attore politico. Impallinando, al termine di un duro confronto interno, la riforma Madia, la maggioranza dei giudici costituzionali ha ottenuto i seguenti risultati: ha assestato un colpo all’immagine del premier, che solo il giorno prima aveva riunito i suoi ministri per approvare i decreti di attuazione della legge Madia; ha indebolito il fronte del Sì al referendum costituzionale; ha fatto un favore alle alte burocrazie pubbliche, contrarie alla riforma e in sintonia naturale con i membri “togati” della Corte; ha messo in difficoltà il governo rispetto a Bruxelles, cui avevamo assicurato che la Pubblica amministrazione italiana sarebbe stata riformata entro l’anno. 

Tutto questo smentendo precedenti sentenze della medesima Consulta che stabilivano come il principio della “leale collaborazione” tra Stato e regioni non potesse essere adattato al procedimento legislativo. Non solo. Mentre la riforma costituzionale su cui dovremo votare domenica prossima restituisce allo Stato diverse competenze stoltamente delegate alle regioni dal centrosinistra, la Consulta affida alle regioni un potere di veto sulle decisioni del governo e del parlamento. Potere esecutivo e potere legislativo, commenta amaro il giurista Sabino Cassese, avranno pertanto “le mani legate”. La Repubblica italiana assomiglierà perciò sempre più a una confederazione tipo Stati Uniti d’America, ma non l’hanno deciso né il parlamento né i cittadini. L’ha deciso un manipolo di ermellini. Se questo è l’andazzo, se la debolezza dei governi è l’obiettivo cui tendono le sentenze della Consulta, c’è da credere che nei prossimi mesi la ghigliottina costituzionale si abbatterà anche sulla legge elettorale, decapitando l’Italicum e facendo cadere il ballottaggio. Se accadrà, unica consolazione sarà la beffa: un bel governo inciucista tra Renzi e Berlusconi.