Vincere la solitudine negli anziani, dalle abitazioni collettive alla digitalizzazione
Non solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata ad un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari
Vigilare sugli anziani: fascia di popolazione in continua crescita e che può facilmente versare in condizioni di fragilità, anche psicologica. Il tasso di solitudine degli anziani in Italia è il doppio rispetto alla media dei Paesi europei, con coloro che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto che sono il 14%, mentre coloro che non hanno nessuno a cui raccontare cose personali il 12%, a fronte di una media europea del 6,1%. La solitudine non è solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata ad un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari. “Oltre all’ageismo, vi è una vera e propria epidemia dei paesi occidentali che contano il 30% degli anziani afflitti da solitudine cronica e il 10% da una forma molto severa, che porta alla depressione e poi in alcuni casi proprio al suicidio”, sottolinea il Prof. Diego De Leo, Presidente AIP, Associazione Italiana di Psicogeriatria. L’Italia è uno dei paesi occidentali in cui diventare vecchi presenta gli scenari peggiori.
A mettere in stretta correlazione ageismo e solitudine sono diversi studi internazionali. Uno studio israeliano di giugno 2023 individua un legame tra il crescere dell’età e la maggiore solitudine, con l’associazione positiva tra i due fenomeni che diventa significativa nelle persone di età superiore ai 70 anni. Uno studio cileno dello stesso periodo mostra un’associazione diretta e indiretta dell’ageismo con gli esiti sulla salute mentale: l’ageismo è positivamente correlato alla solitudine e, di conseguenza, all’aumento dei sintomi depressivi e ansiosi. Analogamente, un documento di ottobre 2021 evidenzia due iniziative innovative dei Paesi Bassi, che dimostrano che i diritti degli anziani possono essere mantenuti in soluzioni abitative collettive.
“Gli anziani spesso vengono estromessi da misure di salvaguardia sanitaria, come avvenuto durante la pandemia, quando i posti in terapia intensiva erano destinati ai più giovani – spiega De Leo – Questa impostazione è stata introiettata dagli anziani stessi, convinti che non possano essere utili alla società né attivi: questo non è frutto di un impoverimento cognitivo ma di un’impressione del loro patrimonio intellettuale come detta la società . Occorre ribaltare questo modello. L’altro Paese più vecchio al mondo insieme all’Italia, il Giappone, ha computato 45mila persone che ogni anno muoiono in completo isolamento e sono state create squadre di “death cleaners” che si occupano di bonificare i luoghi in cui sono avvenute queste morti in solitudine.
Ma sono molte le azioni positive che si possono mettere in campo per vigilare e salvaguardare la nostra popolazione più anziana. Come dimostrato dal 24° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, tenutosi a Firenze dall’11 al 13 aprile, intitolato “Integrazione e innovazione. Tanti i temi sul tavolo un relazione alla terza età. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale apporterà modificazioni nella cura degli anziani. La cura delle demenze sta offrendo scenari innovativi con il ruolo dei biomarcatori nell’approccio diagnostico. La recente approvazione della legge 33 sulla non-autosufficienza rappresenta un’altra opportunità di innovazione nell’assistenza, che si sposta dal sanitario al sociale aprendo nuove prospettive. Vi sono poi le novità farmacologiche riguardanti problematiche come il controllo di agitazione e delirium e quelle sui trapianti d’organo. Grande attenzione poi a fenomeni globali come i cambiamenti climatici, che hanno un notevole impatto proprio sulla salute dei più fragili, che possono subire maggiormente gli effetti della disidratazione, dei colpi di calore o semplicemente essere meno reattivi di fronte a calamità naturali per limiti sensoriali o per il basso livello di digitalizzazione, che in Italia nella popolazione anziana non raggiunge il 65% e talvolta implica solo la competenza di saper mandare una mail.
Gli esperti non hanno dubbi: entrare nell’ottica (anche sociale) del riconoscimento dell’utilità all’anziano, esperito come risorsa, è il primo passo per tutelarli.