Medicina

Tumore al seno, come funziona la terapia neoadiuvante

di
Alessandro Malpelo
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Al ritorno dal congresso americano di San Antonio, Michelino De Laurentiis, direttore del dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-polmonare all’Istituto Nazionale Tumori, Fondazione Pascale di Napoli, affronta in questo colloquio il tema cruciale del tumore al seno triplo negativo. Sotto i riflettori le nuove frontiere dell’immunoterapia, la terapia neoadiuvante preparatoria all’intervento,  e in prospettiva gli anticorpi coniugati.

 

Professor De Laurentiis, che cosa comporta oggi una diagnosi di tumore mammario triplo negativo?

«Parliamo di uno dei tre sottotipi principali di tumore della mammella, che distinguiamo a seconda dei recettori. Questi recettori condizionano l’approccio terapeutico, sono bersagli da colpire con farmaci».

 

Come si articola la classificazione?

«Riconosciamo tumori cosidetti luminali che presentano recettori per estrogeni e progesterone, e che per questo beneficiano delle terapie ormonali. Abbiamo poi  tumori HER2-positivi: presentano recettori per un fattore di crescita (la proteina HER2) che alimenta la proliferazione. Infine, ci sono i tumori triplo negativi che non presentano nessuno dei recettori principali citati prima, e che numericamente sono il 15% dei casi considerati dell’insieme».

 

Come si affronta un sospetto tumore al seno triplo negativo?

«In genere, come in altri casi, eseguendo una mammografia integrata da ecografia, eventualmente una risonanza magnetica. Crescendo, questi tumori possono dare alterazioni evidenti tipo masse, noduli, retrazioni cutanee. Il tumore triplo negativo è un sottotipo mediamente aggressivo, ma ne esistono anche di apocrini, adenoido-cistici e metaplastici a basso grado istologico».

 

Quanto incide la genealogia familiare?

«Le donne che presentano una mutazione del gene BRCA1 sono più a rischio di sviluppare un triplo negativo, si tratta di un rischio ereditario. Ma questo può insorgere anche su base sporadica, cioè non legato ad alcuna evidente ereditarietà, ed è più frequente nelle giovani donne».

 

Dove avviene oggi la presa in carico?

«All’interno di una struttura configurata come Breast Unit, con un team multidisciplinare, la paziente inizia la fase diagnostica, che deve includere sempre la caratterizzazione istologica con agobiopsia o, nei tumori piccoli, la citologica con agoaspirato».

 

Dopo la diagnosi cosa succede?

«Nei noduli sopra il centimetro, l’ideale è la terapia neoadiuvante, cioè trattare farmacologicamente il tumore prima dell’intervento chirurgico per ridurlo, e per trarre utili informazioni. A quel punto, se durante l’intervento si trova ancora traccia di cellule tumorali, si cambieranno i farmaci, ne ricaveremo opportunità di guarigione in più».

 

Che cosa ci aspettiamo in questo senso dall’oncologia?

«Fino a poco tempo fa per questo tipo di tumore era disponibile solamente la classica chemioterapia. Da un paio d’anni per le forme avanzate con metastasi abbiamo disponibile anche l’immunoterapia con atezolizumab e a breve con pembrolizumab, ovviamente in presenza di marcatori sensibili a questo trattamento. Sempre per le forme avanzate, quest’anno sono stati presentati dati su una nuova categoria di farmaci che promette bene: gli anticorpi farmaco-coniugati».

 

Quali le particolarità dei moderni anticorpi coniugati?

«Un farmaco arriverà a breve per il tumore triplo negativo (sacituzumab govitecan), ed è già di fatto sul territorio nazionale in virtù di un programma di accesso precoce offerto gratuitamente dall’azienda che lo produce. Si tratta di un anticorpo monoclonale caricato con molecole di un potentissimo chemioterapico che non viene liberato nel sangue ma arriva alla cellula tumorale e viene rilasciato solo al suo interno. Sempre a San Antonio sono stati presentati i dati preliminari di un altro farmaco di questa categoria (datopotomab deruxtecan) e qui siamo in una fase precoce ma promettente di sperimentazione».

 

Oggi come oggi quali armi abbiamo?

«Per il tumore triplo negativo in fase iniziale abbiamo la straordinaria novità di pembrolizumab combinato a chemioterapia nella terapia neoadiuvante. La combinazione è in grado di migliorare la sopravvivenza nei tumori triplo-negativi con metastasi. Pembrolizumab come terapia neoadiuvante prima dell’intervento si accompagna a un netto miglioramento della prognosi, un potenziale aumento delle possibilità di guarigione».

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