Tutti gli esseri viventi emanano una luce che si spegne dopo la morte. Cosa dice la scienza
Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica ‘Journal of Physical Chemistry Letters’ ha analizzato la flebile luce emessa da animali e vegetali: ecco cosa hanno scoperto

La scienza ha scoperto che il corpo umano emette un bagliore
Le prime rappresentazioni di corpi avvolti da un alone di luce risalgono all’antica Grecia: è la cosiddetta ‘aura’, termine che, proprio nel greco antico, sta per ‘soffio’. Ma la nozione dell'aura, o di un involucro energetico avvolgente il corpo umano, accomuna diverse culture: compare già, infatti, nelle descrizioni dei Veda, nel Libro di Dzyan e nei geroglifici egiziani. E nei dipinti di epoca cristiana, ad esempio di Tiziano o Raffaello, si nota spesso un alone luminoso intorno ai personaggi dotati di sacralità.
Lungi dall’entrare nel territorio della parapsicologia, o della teologia, ora uno studio scientifico - pubblicato sulla rivista Journal of Physical Chemistry Letters – conferma l’esistenza di un ‘bagliore della vita’, destinato a spegnersi pochi istanti dopo la morte.
Tutti gli esseri viventi – animali e vegetali – emettono, infatti, una flebile luce che si riduce drasticamente dopo la morte: tale fenomeno fisico, probabilmente legato all'attività metabolica delle cellule, è stato osservato per la prima volta in alcuni esperimenti di laboratorio, condotti su topi e piante, dai ricercatori dell'università di Calgary e del Consiglio nazionale delle ricerche del Canada.

Il ruolo cruciale dei mitocondri
I risultati dello studio, pubblicati qui suggeriscono che questa emissione ultradebole di fotoni (in inglese, Upe- Ultraweak photon emission) è diversa dalla semplice radiazione generata da qualunque corpo caldo. L'emissione fotonica sarebbe dovuta agli scambi energetici tra mitocondri e altre strutture intracellulari, che emettono l'equivalente di pochi fotoni al secondo per centimetro quadrato di epidermide.
L'esistenza di questo bagliore è stata a lungo oggetto di discussione, a causa dell'assenza di una tecnologia abbastanza sensibile da rilevarlo, o che consentisse di isolarlo da altri tipi di emissioni di luce o calore.
L’esperimento scientifico
I ricercatori hanno impiegato speciali telecamere digitali – capaci di visualizzare le singole particelle di luce (fotoni) – per riprendere quattro topi immobilizzati in una scatola buia, prima e dopo l'eutanasia. Per evitare che il calore potesse diventare una variabile confondente, la scatola è stata mantenuta a una temperatura controllata e gli stessi topolini sono stati riscaldati per mantenere la temperatura corporea anche dopo il decesso.
Le due immagini pre e post morte sono state realizzate con un'esposizione della durata di un'ora. La prima immagine mostra fotoni che si diffondono da tutto il corpo, e in particolare dalla testa, dalle zampe e dagli organi. Nella seconda immagine, realizzata dopo la morte, l'emissione di fotoni è quasi del tutto scomparsa, con solo alcune tracce persistenti.
L’improvviso spegnimento è dovuto, probabilmente, all'interruzione della circolazione di sangue ricco di ossigeno nell'organismo, una delle principali molle attivatrici del metabolismo che produce il bagliore studiato.
Gli studi sulle piante e le possibili applicazioni future
"Mentre i topi vivi emettono una robusta Upe, probabilmente indicativa di processi biologici e attività cellulare in corso, l'emissione di Upe dei topi morti è quasi estinta. Questo – scrivono i ricercatori – dimostra in modo chiaro che l'Upe è associata all'essere vivi".
Le stesse telecamere sono state impiegate per studiare l'emissione prodotta da
foglie di arabetta (Arabidopsis thaliana) e pianta ombrello (Heptapleurum arboricola). L'esperimento ha dimostrato che le foglie continuano a emettere fotoni anche dopo essere state staccate dalla pianta e il flusso di fotoni diventa ancora maggiore quando vengono sottoposte a fattori stressanti come lesioni fisiche o agenti chimici che ne attivano i meccanismi di riparazione.Perfezionando le tecniche di osservazione, l'emissione fotonica ultradebole potrebbe essere usata, dunque, per monitorare la risposta delle piante allo stress, o per verificare da lontano la vitalità di tessuti animali senza bisogno di test invasivi, in modo completamente passivo.