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La maculopatia fa meno paura

Nuovi farmaci in arrivo per la forma secca, mentre per quella umida la strategia terapeutica ridurrà il numero di iniezioni

27/01/2024 - di F.F.

La degenerazione maculare legata all’età attualmente interessa oltre 1 milione di italiani che hanno un “buco” al centro del campo visivo. Un panorama destinato a cambiare nel prossimo futuro grazie all’arrivo di nuovi farmaci e di innovative strategie di intervento. La maculopatia è una patologia che compromette in maniera significativa la qualità di vita dei pazienti ed è molto diffusa: riguarda il 2% degli italiani e aumenta al crescere dell’età. Rappresenta la causa più frequente di ipovisione e disabilità visiva dopo i 50 anni nel mondo occidentale. Ne esistono due forme, quella “secca”, la più comune (circa il 90% di tutte le forme), e quella umida o essudativa. La maculopatia umida fino a qualche anno fa non era considerata curabile, ma i progressi terapeutici degli ultimi anni hanno consentito di rallentarne notevolmente la progressione e di ridurne la evoluzione. L’obiettivo della ricerca di questi ultimi anni è stato trovare farmaci che potessero essere più efficaci nel ritardare la progressione della perdita visiva, e che rendessero più agevole la cura riducendo la necessità di somministrazioni intravitreali.

 

La maculopatia secca è dovuta alla formazione di depositi giallastri sotto la macula con atrofia del tessuto retinico e la riduzione della visione centrale è in genere più graduale e lentamente progressiva. Dopo l’ok dell’FDa, qualche mese fa, è attesa per il 2024 l’approvazione da parte dell’EMA di qualche mese fa, di 2 nuovi farmaci, il Pegcetacoplan e l’Izervay. «Nei pazienti con maculopatia secca, nelle forme più avanzate, al momento orfane di terapie, i farmaci iniettati per via intravitreale – spiega Donald J. D’Amico, professore di Oftalmologia al Weill Cornell Medical College e Direttore dell’Oftalmologia al New York Presbyterian Hospital – vanno ad inattivare il meccanismo di infiammazione che è mediato dalla ’cascata del complemento’, ovvero una serie concatenata di eventi infiammatori responsabili della degenerazione fotorecettoriale. I farmaci rallentano in una buona percentuale di pazienti l’evoluzione della malattia senza purtroppo restituire la vista», sottolinea l’esperto.

 

La forma “umida” è causata da una crescita anomala di neovasi sotto la macula, la parte centrale della retina responsabile della visione fine, e la compromissione della vista in questa forma può avvenire in modo repentino. La terapia della forma umida, da qualche anno, si avvale di farmaci molto potenti diretti contro un fattore di crescita che facilita la proliferazione dei neovasi nella regione maculare. Sono le cosiddette terapie anti-VEGF che vengono somministrate direttamente nell’occhio attraverso iniezioni intravitreali in maniera continuativa, in genere una volta al mese. «Sono però finalmente in arrivo terapie innovative, sempre più potenti e a lunga durata di azione, che ci consentiranno di allungare gli intervalli di trattamento – dichiara Teresio Avitabile, presidente della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (S.I.S.O.) –. È il caso del nuovo anticorpo faricimab, disponibile da pochi mesi e a breve rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale. Questo è il primo anticorpo bispecifico, cioè a “doppio bersaglio”, perché oltre ad agire come anti VEGF colpisce anche un secondo importante bersaglio, cioè l’angipoietina-2, un’altra sostanza che concorre ad aumentare la formazione di nuovi vasi, contribuendo in questo modo a migliorare la stabilità vascolare e a ridurre la risposta dei vasi ai VEGF».

 

Arriverà anche in Italia, sempre nel 2024, contro la maculopatia senile umida e l’edema maculare diabetico, anche un anticorpo monoclonale anti VEGF già utilizzato, ranibizumab, inserito in un piccolo serbatoio ricaricabile, impiantato nella parete dell’occhio e che eroga quotidianamente piccole quantità di farmaco. «L’innovativa strategia terapeutica è quella di impiantare chirurgicamente nell’occhio piccoli serbatoi che rilasciano gradualmente il farmaco all’interno. Questo potrebbe estendere l’intervallo di ritrattamento a sei mesi, semplicemente facendo il refill del serbatoio e riducendo così il numero delle iniezioni necessarie all’anno», spiega Carl Coolin Awh, presidente del Tennessee Retina di Nashville.

 

I dati mostrano che quasi tutti i pazienti (98%), possono lasciare passare un intervallo di 6 mesi fra un refill e l’altro, con la stessa efficacia terapeutica del trattamento mensile intravitreale . Anche per quanto riguarda l’impiego di faricimab, recenti studi pubblicati anche su The Lancet, confermano che nel 60% dei pazienti può essere somministrato ogni 4 mesi, anziché 2 come l’attuale standard terapeutico. I nuovi trattamenti aggiungono quindi un vantaggio: l’estensione dell’intervallo tra le somministrazioni, riducendo il numero delle iniezioni.