Giovedì 2 Maggio 2024

Case pubbliche, la Consulta boccia la legge del Veneto sui 5 anni di residenza. Zaia: “Chi è qui da tempo ha più diritti”

Negare l’accesso all’edilizia pubblica a italiani o stranieri sul criterio della prolungata permanenza sul territorio va contro la destinazione sociale del diritto all’abitazione e all’articolo 3 della Costituzione

Una manifestazione per il diritto alla casa (foto d'archivio)

Una manifestazione per il diritto alla casa (foto d'archivio)

Venezia, 22 aprile 2024 – Bocciata la legge regionale del Veneto sull’assegnazione delle case pubbliche. E nel dettaglio la Corte costituzionale indica come illegittimo negare l'accesso all'edilizia residenziale pubblica a chi, italiano o straniero, al momento della richiesta non sia residente nel territorio della regione da almeno 5 anni, pur se calcolati nell'arco degli ultimi dieci e maturati eventualmente anche in forma non continuativa. Il requisito della prolungata residenza impedisce di soddisfare il diritto inviolabile all'abitazione, funzionale a che “la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità umana”. Lo ha deciso la Consulta che ha ritenuto incostituzionale una previsione normativa della Regione Veneto.

La sentenza della Corte costituzionale

In particolare, la Corte costituzionale con la sentenza numero 67 depositata oggi, ha ritenuto contrastante con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza previsti dall'articolo 3 della Costituzione, l'articolo 25, comma 2, lettera A, della legge 39 della Regione Veneto del 3 novembre 2017. La Corte - informa una nota della Consulta - ha precisato che il requisito della residenza prolungata nella regione non presenta alcuna ragionevole correlazione con il soddisfacimento dell'esigenza abitativa di chi si trova in una situazione di bisogno. Anzi, tale criterio contrasta con la circostanza per cui “proprio chi versa in stato di bisogno si vede più di frequente costretto a trasferirsi da un luogo all'altro spinto dalla ricerca di opportunità di lavoro”.

Violazione del principio di eguaglianza

Secondo la Corte, la permanenza per almeno 5 anni nella regione, accertata nell'arco di un decennio, non induce a ritenere che vi sarà un futuro radicamento nel territorio, né serve a valorizzare il tempo dell'attesa nell'accesso al beneficio, esigenza che si può semmai riflettere nell'anzianità di presenza nella graduatoria di assegnazione. La Corte, pertanto, ravvisa l'adozione di un criterio irragionevole che si traduce nella violazione del principio di eguaglianza formale fra chi può e chi non può vantare una condizione - quella della prolungata residenza nel territorio regionale - del tutto dissociata dal suo stato di bisogno. Secondo i giudici delle leggi, il requisito contrasta anche con il principio di eguaglianza sostanziale, perché tradisce la naturale “destinazione sociale al soddisfacimento paritario del diritto all'abitazione della proprietà pubblica degli immobili” dell'edilizia residenziale pubblica.

Il presidente veneto: “La nostra non è una legge che esclude”

Dopo la sentenza della Consulta è intervenuto sulla questione il presidente del Veneto, Luca Zaia: “Prendo atto della sentenza della Corte Costituzionale, ma non la condivido, per onestà intellettuale e storia personale. In Veneto abbiamo scelto di premiare chi, cittadino italiano o cittadino straniero non fa differenza, nella nostra terra ha un progetto di vita. Penso che la nostra norma non sia affatto una legge che esclude, tutt’altro: è stata voluta per favorire inclusione e senso di comunità. L’abbiamo pensata per chi vuole stabilirsi in Veneto con la propria famiglia, avviare un percorso di vita, iniziare un’attività lavorativa, mandare i propri figli nelle nostre scuole con la prospettiva di mettere radici. Non per chi arriva oggi e pretende gli stessi diritti chi risiede in Veneto da tempo, contribuendo anno dopo anno alla società e all’economia”.

Zaia: “Chi risiede qui da anni ha più diritti di chi è arrivato ieri”

“La residenzialità, specie se nelle abitazioni pubbliche pagate dalla collettività – prosegue il presidente Zaia -, non può basarsi su un criterio di “sliding door”, ma deve premiare invece chi pensa ad un futuro dove sceglie di risiedere. Penso, ad esempio, che un cittadino straniero che risiede in Veneto da diversi anni, e qui ha posto le basi per il futuro della propria famiglia, abbia certamente più diritti di chi è arrivato ieri e acclama identiche pretese. È questo il nostro concetto di difesa della dignità, dare diritti a chi dimostra di volerli espletare nel tempo, accompagnati dall’impegno verso la comunità: la stessa cosa vale, ovviamente, per i cittadini italiani che fanno richiesta di alloggi pubblici. L’impegno nel tempo non può essere a mio parere soppiantato da un ideale di presunta universalità del diritto alla casa, citato dalla Corte Costituzionale. Valutiamo invece e premiamo con pragmatismo e serietà chi davvero vede l’abitazione come base per lo sviluppo di un progetto di vita, non chi la usa come mera sistemazione in attesa di muovere verso altri territori e altri progetti”.

"C’è chi chiede un alloggio come fosse un ostello”

“Non posso non notare – conclude Zaia - che per la proprietà transitiva questa sentenza potrebbe far sì che i cittadini italiani o gli stranieri residenti da almeno cinque anni in Italia avranno gli stessi diritti, a parità di condizione e di requisiti, di chi magari non ha un progetto di vita e chiede semplicemente un alloggio, quasi fosse un ostello, per poi trasferirsi altrove. Prendiamo comunque atto della sentenza della Corte Costituzionale, in attesa di poterne valutare le conseguenze dell’applicazione”.