Venerdì 26 Aprile 2024

Verso le Europee. Lega in mezzo al guado, restare fuori dai giochi può essere un boomerang

Il rischio delle alleanze con i tedeschi di AfD e gli euroscettici dell’Est. Ma anche Meloni è alle prese con le diverse anime del gruppo conservatore.

Verso le Europee. Lega in mezzo al guado. Restare fuori dai giochi può essere un boomerang

Verso le Europee. Lega in mezzo al guado. Restare fuori dai giochi può essere un boomerang

Roma, 25 marzo 2024 – Le destre di Identità e democrazia saranno la terza forza al Parlamento europeo. Ma a rischio di non poter mettere a frutto il balzo dagli attuali 59 a 85 e più. Mentre i conservatori di Ecr, a loro volta in crescita da 68 a un’ottantina di seggi, potrebbero diventare determinanti per insediare la prossima Commissione: se non fossero divisi e litigiosi come parenti serpenti. L’asse popolar-socialista che regge l’Europa dovrebbe venire sostanzialmente confermato nelle prossime elezioni, ma è il declino dei centristi liberali di Renew a imporre la ricerca di consensi a destra, che cresce anche a scapito dei Verdi.

Il rafforzamento di Id potrebbe alimentare il riflesso del cordone sanitario per arginare le forze antisistema, per quanto spesso si riveli maldestro. Ma, se la cosa non pone problemi ai proto nazisti di AfD e altri xenofobi centro ed est-europei, rimanere fuori dai giochi può invece rivelarsi un problema per partiti dalle più consolidate vocazioni di governo, a cominciare dalla Lega delle ragioni del Nord che guadagnano nel mercato comune. Ma in prospettiva anche il Rassemblement national che aspira all’Eliseo nel 2027.

Sarà per questo che la prossima azionista di maggioranza di Id, Marine Le Pen (accreditata del 28%), preferisce mantenersi defilata rispetto alle adunanze dei soci più intemperanti, come son l’AfD tedesca e la Lega più sonoramente salviniana. La leader del RN ha avviato un cauto percorso centrifugo soprattutto in materia di fedeltà atlantica e difesa europea che esige l’ingaggio contro il Cremlino. Matteo Salvini, invece, tiene alto il preteso pacifismo sovranista, anche se ieri ha smorzato i toni nei riguardi del presidente francese Emmanuel Macron. Non sarà un caso, però, che i governatori abbiano affiancato al Capitano un direttorio che assista la formazione delle liste europee. Non che qualcuno pensi si salire sul carro della prossima commissione insieme ai socialisti, ma c’è modo e modo anche per opporsi. E se poi Ursula von der Leyen cadesse sotto il tiro dei franchi tiratori e si aprisse la strada per un italiano, il popolare Antonio Tajani prima dell’indipendente Mario Draghi, per la Lega di governo diventerebbe complicato obiettare.

Il fatto è che i commissari europei li esprimono i governi nazionali. E il voto sulla commissione si intreccia con questo. Giorgia Meloni ha puntato con forse troppo anticipo sulla presidente uscente, osteggiata dalla destra est-europea del Ppe, oltre che da Francia e Polonia. Tajani o Draghi risolverebbero i guai di Meloni, pur facendola a loro volta ancor più prigioniera dell’Europa: anche se la più quotata pare Roberta Metsola. Ma il vero problema della premier italiana è non riuscire a governare i localismi degli Ecr: gli spagnoli di Vox non intendono considerare voti a Ursula bis; l’ungherese Orban vorrebbe aderire al gruppo, ma i polacchi non lo vogliono; anche Le Pen sarebbe interessata a transitare verso il conservatorismo in ottica Eliseo, ma la nipote di Reconquête, Marion Naréchal, non ne vuole sentir parlare. Cosicché il voto alla Commissione rischia diventare gratuito quanto lacerante.