Indietro tutta di Ursula von der Leyen sulla direttiva per i pesticidi è il segno di un cambiamento che va ben oltre il merito del provvedimento. Sotto la spinta della rivolta dell’Europa rurale e contadina dei trattori (che non è il mondo del passato, contrapposto alla modernità), la presidente della Commissione di Bruxelles, figlia di quel popolarismo della Cdu che ha sempre avuto un baluardo nelle regioni agricole tedesche (come una volta la Dc italiana), ha capito probabilmente che l’Unione europea doveva fermarsi nella furia ideologica del Green Deal.
Che quest’ultimo tornante della storia innanzitutto europea non potesse essere un pranzo di gala si era capito da tempo e solo un politico animato da un’idea fideistica della transizione verde come il socialista Frans Timmermans poteva spingere l’acceleratore su regolamenti, vincoli, balzelli, limiti che nessun piccolo o medio imprenditore europeo del settore agricolo, ma anche della maggior parte dei comparti manifatturieri, avrebbe potuto o potrebbe sopportare senza rischiare il fallimento dell’azienda. O, in alternativa, senza imporre prezzi ai propri prodotti completamente fuori mercato, con la conseguenza di arrivare allo stesso esito negativo.
Il punto, dunque, è che la ribellione degli agricoltori europei va inquadrata nel contesto di un vero scontro non tra il vecchio e il nuovo, ma tra il realismo o la disperazione di chi si rende conto di non poter sopravvivere con le regole globaliste e mercatiste (come direbbe l’ex ministro Giulio Tremonti) delle élite cosmopolite e progressiste e l’ideologia delle tecnostrutture e delle burocrazie che di quell’approccio meramente teorico e intrinsecamente mondialista si è fatta interprete. In fondo, per dirla diversamente, quella dei contadini (ma si potrebbe dire anche di una larga fetta dell’industria europea) è, come è stato detto, la rivolta degli uomini della materia contro gli uomini della tastiera.