Asse Salvini-Cavaliere. "Niente M5S o si vota". Ma le colombe sono ancora al lavoro

Il Capitano vola in Sardegna per un summit nella villa di Berlusconi. Malumori dentro Forza Italia per la posizione dei ministri governisti. Il Pd cerca di convincere Draghi ‘svuotando’ i gruppi contiani

Matteo Salvini e Silvio Berlusconi in una foto del 2018 (Ansa)

Matteo Salvini e Silvio Berlusconi in una foto del 2018 (Ansa)

Roma, 18 luglio 2022 - ​A Palazzo Chigi la consegna del silenzio resta imperiosa. Ufficialmente, la posizione di Draghi non cambia, ma qualche spazio deve essersi aperto se per la prima volta si comincia a ipotizzare che il dibattito mercoledì possa concludersi con un voto. Di certo, anche in questa torrida domenica il febbrile lavorio sotterraneo è proseguito intensamente in vista dell’ora della verità. C’è chi si fa in quattro per ricucire, ed è chi ha tutto da perdere nell’arrivare al voto in settembre, senza più campi né larghi né stretti: insomma il Pd. E c’è chi si dà da fare con tutte le proprie forze per rendere la frattura definitiva: e in questo caso si tratta di chi avrebbe tutto da guadagnare da elezioni in autunno, ovviamente Salvini e Berlusconi, per non parlare della Meloni. I leader di Lega e Forza Italia non lo possono dire apertamente, ma arrivano davvero a un millimetro dal farlo. "O un Draghi bis senza Cinque stelle, oppure si vota", scrivono in una nota al termine di un faccia a faccia villa Certosa

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Per dimostrare che l’asse tiene, il Capitano si precipita in Sardegna con un volo di linea a pranzo (al ritorno gli dà un passaggio Luigino Berlusconi sull’aereo privato) per fare il punto della situazione: impossibile governare con M5s "per la loro incompetenza e inaffidabilità". Le dichiarazioni di Conte, spiegano, confermano "la rottura del patto di fiducia, come ha sottolineato Draghi". Del resto, lamentano, è impensabile "fare una finanziaria assieme a chi dice no al termovalorizzatore, si oppone ad aumentare la produzione di gas, all’alta velocità e sostiene misure come il reddito di cittadinanza?". Dunque: o c’è un governo senza contiani oppure non restano che le urne. "Attendiamo l’evoluzione politica, ma siamo pronti a sottoporci anche a brevissima scadenza al giudizio dei cittadini".

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Arrivati a questo punto si tratta di una linea del Piave: "Difficilmente – dice chi ha parlato con loro – il premier potrebbe smentirsi e accettare di modificare il perimetro della sua maggioranza". Certo, in entrambi i partiti ci sono forti componenti governiste che sarebbero pronte ad accettare qualsiasi maggioranza, pur di restare in sella. I ministri FI mettono l’accento sulla "responsabilità", con Mariastella Gelmini che avverte: "Nella maggioranza nessuno ponga condizioni a Draghi", scatenando l’irritazione di molti azzurri. Altrettanto nota la cautela dei governatori della Lega di fronte all’ipotesi di andare alle urne e rischiare di bloccare i progetti in cantiere sui territori. Ma non sono in grado di smuovere i due leader – al pari dei sindaci d’area che hanno firmato la petizione del collega Nardella – a maggior ragione dopo l’ennesimo rilancio di Giorgia Meloni: "Chi oggi si straccia le vesti per Draghi, gli ha sbarrato la strada al Quirinale. Lo vogliono a Chigi per garantirsi lo stipendio. Ma lui l’ha capito".

Insomma: l’aut aut della destra di governo appare netto. Le cose però sarebbero tasse di tornare la governo con i 5 stelle in maggioranza ma non più nell’esecutivo. Insomma, trincerati nell’appoggio esterno, mentre un gruppo di fuoriusciti va a ingrossare le truppe di Di Maio. È su questo "piano B" che lavora oggi la diplomazia anticrisi. Enrico Letta insiste nel tentativo di creare le condizioni per riportare a Draghi un sostegno il più ampio possibile. "Quello di mercoledì deve essere un voto per dare una fine ordinata della legislatura – avverte – su tre assi: agenda sociale, Pnrr e crisi ucraina". Il segretario del Pd ha avuto contatti con Conte, il quale insiste perché accetti la formula dell’appoggio esterno con la scissione bis del Movimento. Letta preferirebbe un ritorno a Canossa del leader M5s, previo naturalmente chiarimento. Perché il piano B riesca i i passaggi chiave sono due: il primo è una fuoriuscita massiccia di parlamentari 5stelle; le voci dicono che l’emorragia ci sarà ma i pronostici sono diversi. Per qualcuno saranno 15: troppo pochi. Per altri 30/35, sufficienti per arrivare a dama.

Il punto più delicato però resta il premier dimissionario, che in queste ore non è sottoposto solo a pressioni interne ed estere di ogni tipo, ma anche a consigli opposti dei fedelissimi. C’è chi gli suggerisce di non ingranare la retromarcia, chi si unisce al coro che vuole il ripensamento. Draghi aspetta di vedere cosa faranno i partiti. Se avrà l’impressione che il sostegno sia formale, trarrà le conseguenze rendendo irrevocabili le dimissioni. Se i partiti anche senza Conte lo convinceranno di essere decisi ad andare avanti con lealtà le cose potrebbero cambiare. Si dice partiti, si intende quelli di destra. Ora la ’palla avvelenata’, ovvero la scelta, tocca a Berlusconi e Salvini.

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