Crisi di governo, il pallino torna in mano a Berlusconi

Dopo quasi trent'anni, il Cav è ancora centrale. Se Draghi alla fine accetterà di restare, dalla decisione del leader azzurro dipenderà la prosecuzione della legislatura

Silvio Berlusconi e Matteo Slvini (Ansa)

Silvio Berlusconi e Matteo Slvini (Ansa)

E così, dopo quasi trent’anni, si torna più o meno al punto di partenza: decide Berlusconi. Non solo solo lui, certo, ma molto. Il destino di questa crisi di governo (al momento solo virtuale, visto che l’esecutivo Draghi è nella pienezza dei suoi poteri) risiede in buona parte nelle mani del Cavaliere. C’è Draghi, ovviamente, che dovrà decidere che atteggiamento tenere di qui a mercoledì, come comportarsi di fronte alle bizze dei Cinquestelle, ma a guardarci bene la margherita da sfogliare per il premier potrebbe non rivelarsi foltissima. E’ infatti evidente che, a meno di clamorosi svarioni o forzature dei grillini (tutt’altro da escludere, visti i soggetti) non sarà semplice per Draghi dire di no alle innumerevoli pressioni esterne e interne che stanno arrivando. Palazzo Chigi non fa niente per nasconderle, anzi, alcune le sta facendo filtrare, segno che il premier desidera che si sappia che tutto il mondo vuole che lui resti.

Crisi di governo e Draghi: cosa succede mercoledì. I tre possibili scenari

Dato quindi per assodato che alla fine Draghi possa mettersi a disposizione (non è del tutto così, ma per amore di ragionamento diamolo) il pallino adesso è in mano al centrodestra di governo, e tra i due partner in particolare al Cavaliere. Ambedue vogliono andare a votare, ma ovviamente non sono disposti a pagare il prezzo politico di una «crisi provocata». In teoria non sarebbe niente di che (visto poi che le urne arriverebbero comunque cinque mesi dopo), ma che in Italia non ha mai portato troppo bene. Siccome però stavolta il prezzo politico di questa la manfrina ("tarantella", la chiama Renzi) sta andando in conto a Conte e i suoi cari (almeno questa è la percezione generale, e ogni giorno che passa si fa fatica a uscire da questa interpretazione) il Cav e Salvini potrebbero essere tentati a sfruttare il pertugio politico che i grillini incautamente vanno loro offrendo. Per il centrodestra - tutto, non solo quello di governo - le elezioni a ottobre potrebbero essere un’occasione ghiotta: gli avversari sono divisi come non mai, l’ipotesi del Campo largo è compromessa, l’inaffidabilità cinquestelle è conclamata. E non è solo una questione di sondaggi. La fortissima contrarietà che il Pd mostra a ogni ipotesi elettorale (e le forse che sta mettendo in campo per scongiurarle) dà l’idea del terrore che la parole «elezioni» suscita in largo del Nazareno.

Il punto è adesso quanto in effetti sia Salvini sia Berlusconi vorranno spingere il piede sull’acceleratore. A parole lo stanno facendo, ma si sa che in queste fasi non sempre quello che si dice davanti ai microfoni coincide con quanto pronunciato negli incontri privati. Ed eccoci allora a Berlusconi. Più che a Salvini, dicevamo. La posizione più "centrale" del Cav nello schieramento, la minore conflittualità diretta (politica) con la Meloni lo mette in grado di influenzare Salvini più di quanto Salvini possa fare con Forza Italia. Già la Meloni è avanti nei sondaggi e ha vinto la sfida dei consensi con la Lega (il sorpasso è avvenuto ormai mesi fa), se Salvini passasse all’opposizione da solo (senza FI) darebbe a tutti un’ulteriore dimostrazione che Giorgia l’aveva vista più lunga nello scegliere l’opposizione a Draghi. Salvini può mettersi di traverso a Draghi solo se anche il Cav fa altrettanto.