E correndo mi incontrò lungo le scale, quasi nulla mi sembrò cambiato in lei, la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due. Il sole che calava già rosseggiava la città già nostra e ora straniera e incredibile e fredda: come un istante “dejà vu“, ombra della gioventù, ci circondava la nebbia... Auto ferme ci guardavano in silenzio, vecchi muri proponevan nuovi eroi, dieci anni da narrare l’uno all’altro, ma le frasi rimanevan dentro in noi: “cosa fai ora? Ti ricordi? Eran belli i nostri tempi, ti ho scritto è un anno, mi han detto che eri ancor via“. E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia. E le frasi, quasi fossimo due vecchi, rincorrevan solo il tempo dietro a noi, per la prima volta vidi quegli specchi, capii i quadri, i soprammobili ed i suoi.
Sembra di vederlo, in un piano sequenza dai sentimenti contrastanti e poi in una serie di flash di ricordi che si sovrappongono questo ’Incontro’ che Francesco Guccini fa splendere nel 1972 fra le gemme di uno dei suoi album più riusciti: ’Radici’. Il brano che, come lo stesso Guccini sottolinea, ritrae la "vacuità del vivere, il senso del tempo che inesorabile se ne va", illumina, come in un film d’autore, un frammento di vita quotidiana che, dieci anni dopo, sembra sfumare fra la nebbia, come una foto d’epoca. Un country blues acustico alla chitarra incornicia quel senso di estraneità, di lontananza che la non frequentazione acuisce. Restano i sogni senza tempo e una canzone capolavoro, che dà i brividi.