Sabato 20 Aprile 2024

Houellebecq, estensione del dominio del porno

Ha girato filmati hard, non vuole vengano diffusi: il nuovo libro del maestro francese è il diario di una vergogna piena di contraddizioni

Michel Houllebecq, 67 anni, nel film porno di Stefan Ruitenbeek

Michel Houllebecq, 67 anni, nel film porno di Stefan Ruitenbeek

“Innanzitutto, una dolorosa sensazione di spossamento del proprio corpo, una sorda ostilità nei suoi confronti, un desiderio di punirlo. Non riuscivo più a lavarmi, il mio consumo di alcol e tabacco era notevolmente aumentato, avevo persino alcuni sintomi di bulimia – una cosa nuova per me – insomma facevo del mio meglio per distruggermi. A livello mentale ero attraversato da ondate di rabbia impotente ma mi capitava anche di raggomitolarmi, trafitto dalla vergogna – mai prima di allora si era presentata così spesso alla mia mente l’ultima frase del Processo: ’Fu come se la vergogna dovesse sopravvivergli’. La rabbia era comprensibile. La vergogna no".

È abbastanza assurdo che proprio il libro nel quale Michel Houellebecq si racconta a cuore aperto in cerca – forse per la prima volta – di instaurare una sorta di patto di compassione con il suo lettore, sia il libro che finisce per lasciare il lettore più perplesso che mai.

Immersi nelle monumentali architetture letterarie dei suoi romanzi, da Le particelle elementari a Estensione del dominio della lotta, da La possibilità di un’isola a Piattaforma o Sottomissione, Serotonina e Annientare, persino i pensieri più basicamente “insopportabili“ di Houellebecq (sospetti di misoginia, islamofobia) hanno trovato comunque una ragion d’essere in forza della sua straordinaria arte di scrittore creatore di mondi/esistenze, indagatore dell’animo umano e delle sue più ignobili miserie e delle sue più recondite grazie, narratore autoironico e spietato, lucido e visionario della società di cui ha raccontato l’ apocalittica normalità e spesso evoluzioni (poche) e involuzioni (moltissime) prima ancora che accadessero.

Stavolta, con Qualche mese della mia vita (La Nave di Teseo), H non mette in scena nessuna, o quasi, costruzione letteraria; il libro è un breve diario scritto in prima persona che narra all’inizio – per poi tornarvi nelle pagine successive – le disavventure legate al litigio con Michel Onfray e alla pubblicazione di un libro-intervista nel quale lo scrittore prendeva posizioni che egli stesso definisce "ambigue" e "persino sciocche" contro i musulmani e che lo stesso ha poi cercato di rettificare. Ma ciò su cui si concentra di più il diario è tutta la vicenda del film pornografico di cui Houellebecq si è ritrovato protagonista: protagonista a sua insaputa, e con grande vergogna, è quanto cerca di dimostrare. La storia del film porno “estorto“ allo scrittore è raccontata da H come un incubo in cui si è ritrovato a tradimento, la vita sua (e della moglie) distrutta. "Una vergogna", scrive citando Kafka "che sopravvive" a chi la prova. Ma la cui sopravvivenza – per paradosso – è altresì alimentata pagina dopo pagina, riga dopo riga, in ogni possibile dettaglio, nel diario appena pubblicato. Che sia proprio questa l’ardita e provocatoria “trovata“ letteraria del nuovo Houllebecq?

No. Anzi: i dubbi crescono paragrafo dopo paragrafo, quando alle precise compiaciute descrizioni delle preferenze sessuali del nostro si succedono le riflessioni sulla sua gioiosa sessualità violata – H si paragona alle donne stuprate – dal regista olandese che prima l’ha ripreso mentre faceva sesso a Parigi con una ragazza, poi ha diffuso quelle immagini avvalendosi di una clausola “retroattiva“ di un contratto che ha fatto firmare ad H in Olanda. Ad Amsterdam, perché il regista che ha rovinato lo scrittore 67enne – e che sarebbe passato inosservato ai più se H non gli avesse dedicato questo libro – è appunto dei Paesi Bassi, tale Stefan Ruitenbeek, capo del collettivo di (porno?)artisti Kirac, già autore di un’operazione simile ai danni di un intellettuale di estrema destra olandese, Sid Lukkassen.

Nel libro il cognome Ruitenbeek è citato solo una volta: poi lui e le sue donne sono chiamati sempre lo Scarafaggio, la Troia, l’Oca, la Vipera. "La sessualità era stata la gioia più grande della mia vita", scrive H, "era atroce per me pensare che l’unica traccia" che ne sarebbe rimasta "sarebbe stata un coito mediocre con una troia inerte, filmato da uno scarafaggio degenere, il tutto sicuramente di una bruttezza assoluta. Mi meritavo di meglio; chiunque si merita di meglio".

Già. Anche il lettore più affezionato a Hoellebecq si merita di meglio, meglio pure delle pagine sull’amicizia con Depardieu che chiudono il diario. Vien da chiedersi perché invece che tra le braccia di Gérard, H non sia tornato a cercare conforto tra quelle del suo amato Schopenhauer: erano altri anni, altri libretti. Quando H scriveva: "nessun poeta degno di tale nome ha mai avuto la stupidità di credere che l’intensità dei propri desideri possa essere in relazione con quella della propria opera: equivarrebbe a confondere l’essenziale e l’accessorio".

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