Iside De Cesare, la Michelangelo dei fornelli: una stella Michelin alle pendici del monte Amiata

di PAOLO PELLEGRINI -
21 maggio 2023
Iside De Cesare

Iside De Cesare

[vc_row css_animation="" row_type="row" use_row_as_full_screen_section="no" type="full_width" angled_section="no" text_align="left" background_image_as_pattern="without_pattern"][vc_column][vc_column_text]Non si scomoda nessuno, a definirla la Michelangelo dei fornelli. Perché adora la scultura, e perché nella sua ricerca costante di equilibrio e semplicità lei cucina ‘per levare’, proprio come spiegava il sommo artista. Insomma non è un caso se Iside De Cesare, romana ma con un dna che è un melting pot all’italiana, viaggia verso i quindici anni di fila di stella Michelin che ha preso poco più che trentenne e condivide con il marito Romano Gordini – un romagnolo... - nel loro ristorante 'La Parolina', a Trevinano, alto Lazio, un po’ il Saule Pleureur del gustoso film ‘Amore, cucina e curry’: ma questo è nato prima e regala una vista magnifica, con l’Amiata che quasi lo tocchi. Quindici anni di stella: son soddisfazioni, Iside. “Molto, ma anche tante ansie... Sì, è una cosa bella, un sogno che si avvera, per la parte emotiva ma anche per la possibilità di raccontare la nostra idea. E riuscire a mantenerla è una sfida continua”. Ma come è cominciato tutto? “Siamo partiti con la voglia di far conoscere la qualità della nostra cucina poi è cresciuta l’idea dell’accoglienza e da cuoca-e-basta mi sono ritrovata ristoratrice a tutto tondo: un sogno innegabile, partire con un’idea che finisce bene. All’inizio eravamo in affitto, ma io sognavo di dare da mangiare con quella meraviglia negli occhi, così abbiamo acquistato la nuova 'casa”' del ristorante”. E come si vive da chef stellato in un paesino di 140 anime a 619 metri sul mare? “E’ tutto a misura, tutto ti vive intorno e la materia prima che hai a disposizione è inarrivabile, quando ho un’ora libera e passeggio vedo le erbe spontanee, i pascoli, gli allevamenti, gli orti... Meraviglioso, certo con qualche di icoltà logistica”. Trevinano, confine di tre regioni: Lazio, Toscana e Umbria. Quale influisce di più? “Ah, io sono tanto curiosa di tutto, e tutto nella vita si intreccia, anche la scuola dei figli... Molto Lazio, certo, per le materie prime eccezionali, della Toscana cerco di assorbire la capacità di narrazione e promozione. Una sfida che mi diverte, e un bel mix”. Nel suo dna tanti altri accenti e influssi. Compreso il partner. “E’ la grande ricchezza dell’essere italiana, incrocio di tradizioni e culture, varietà di prodotti, differenze stagionali. E io cerco di restare aperta alla contaminazione, per una continuità che non sia moda. Il sogno di un cuoco è creare almeno un piatto che entri nelle case”. Lo ha fatto? “Ai posteri l’ardua sentenza. Comunque sia, sì alle contaminazioni ma a vincere deve essere il sapore, le tecniche e le conoscenze devono essere al servizio del prodotto finale, in continua evoluzione per esaltare il piatto. E far stare bene chi siede al tavolo”. Tecnica, fantasia, territorio: qual è la cifra della sua cucina? “All’inizio, da cuoca-e-basta, andare verso la semplicità, cucinando per togliere, al netto di quello che si vede togli il superfluo per esaltare la parte migliore. Poi cercare il punto di vista del cliente: e allora tieni quello che piace di più, punti all’equilibrio, ma la materia prima resta essenziale”. L’ingrediente che preferisce cucinare? “Quelli che esprimono manualità. La pasta fatta in casa, amo il racconto di quello che c’è dietro, la casa, la famiglia, mio padre che me l’ha insegnata. I ripieni legati alla tradizione. L’olio extravergine, e il cioccolato”. E che cosa ama mangiare? “Non potrei vivere senza gli gnocchi di patate, la pasta e il pane fatti da noi. Sono innamorata del pesce di lago. Ma amo tanto tutti i prodotti”. Il suo piatto-icona? “E’ ispirato a una scultura, Apollo e Dafne del Bernini: cappelletti in brodo progressivo. Sono tortellini di Cinta senese in un brodo di cipolla contaminato con una perla di brodo affumicato e foglia di alloro. Apollo che insegue Dafne, carnalità che va in fumo perché prima che la raggiunge lei si trasforma in pianta di alloro. Io adoro la scultura”. Voglia di nuove esplorazioni, Iside? “Sono sempre curiosa. Esplorare, sì, per approfondire quello che già conosco, con tanta voglia di vedere nella novità una proposta più radicata”. Come giudica il momento attuale dell’alta ristorazione? “Io cerco il massimo equilibrio possibile, il periodo storico è complicato, cambia l’approccio al lavoro e ci devono essere nuovi stimoli ma è difficile per l’incremento dei costi fissi e variabili. Nel mio settore c’è evoluzione, il flan al cioccolato che era un piatto gourmet oggi lo trovi in autogrill. Bisogna imparare a trasformarsi rispettando i percorsi. E comunque le dinamiche si conoscono dall’interno”[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]