Giovedì 6 Marzo 2025
BARBARA BERTI
Esteri

Quelli che dicono no: "Pur di non combattere siamo stati in carcere"

Firenze, le storie di due giovani obiettori israeliani. Le coetanee palestinesi: la nostra protesta nonviolenta.

Da sinistra Daniel Mizrahi, Aisha Amer, Tarteel Yasser Al Junaidi e Sofia Orr

Da sinistra Daniel Mizrahi, Aisha Amer, Tarteel Yasser Al Junaidi e Sofia Orr

"Alle mani sporche di sangue preferisco il carcere". Daniel Mizrahi, 26 anni, obiettore di coscienza israeliano, si è fatto 50 giorni di carcere per essersi rifiutato di prestare servizio nell’esercito del Paese. "In carcere non si può parlare di politica, altrimenti si richia l’isolamento: una cella dove hai la luce sparata 24 ore al giorno, manca l’aerazione e si deve stare seduti tutto il tempo con la schiena ben dritta" aggiunge il giovane. "La sezione femminile è ancora più dura, qui c’è l’esigenza di mostrare ancora di più il potere" incalza Sofia Orr, 19 anni, anche lei obiettrice di coscienza israeliana che è stata rinchiusa tre volte per un totale di 85 giorni. "Il mio rifiuto alla guerra è netto: il carcere è un piccolo prezzo da pagare" dice lei che ha dovuto posticipare gli studi universitari perché detenuta.

I due sono ’amici’ delle palestinesi Tarteel Yasser Al Junaidi e Aisha Amer, attiviste non violente impegnate nella difesa dei diritti umani. E tutti e quattro sono testimoni di pace che credono nel dialogo e lavorano insieme, come ’gruppo misto’ israelo-palestinese e rappresentano due importanti movimenti: Mesarvot (una rete di giovani attivisti israeliani che rifiutano di prestare il servizio militare obbligatorio), e Community Peacemaker Teams - Palestina (CPT, sostiene la resistenza di base nonviolenta guidata dai palestinesi contro l’occupazione israeliana). Invitati in Italia dalla Campagna di Obiezione alla guerra, su iniziativa del Movimento Nonviolento, sono ospiti in varie città italiane, compresa Firenze dove – con il coinvolgimento della Cgil – parteciperanno a eventi pubblici per raccontare le loro storie e chiedere la fine della guerra in Medio Oriente. "Se tutti fossimo obiettori questa guerra si fermerebbe. Ma il problema è che la società israeliana è molto indottrinata al militarismo, razzismo e violenza" racconta ancora Daniel Mizrahi, che cerca di rendersi poco riconoscibile, indossando mascherina e cappellino. "Solo per essere palestinesi subiamo incredibili violenze nella vita di tutti i giorni, sia dai soldati sia dai coloni israeliani. Se la pace ci è stata mai insegnata? Quello che vediamo ogni giorno è solamente la violenza. La pace cerchiamo di impararla da noi stessi" aggiunge la 25enne originaria della Cisgiordania, Tarteel Yasser Al Junaidi. "Siamo cittadini di seconda classe" dichiara Aisha Amer che preferisce coprirsi il volto per non farsi riconoscere: "Come tutte le comunità palestinesi subiamo discriminazioni nella vita quotidiana. Il governo israeliano negli anni ha occupato tantissime delle nostre terre, non ci permette libertà di movimento, demolisce le nostre case. Abbiamo tentato di fare proteste in Palestina ma siamo state represse violentemente".