Fu vera tassa? All’indomani della manovra, approvata dal Consiglio dei ministri ma non ancora messa nero su bianco, buona parte del dibattito verte su questo interrogativo. L’opposizione non ha dubbi: "È un imbroglio", tuona Giuseppe Conte. Solo un "gioco delle tre carte", liquida la faccenda Elly Schlein. Ruvido e quasi minaccioso il ministro Giorgetti la vede all’opposto: "Qualcuno lo chiama extraprofitto, qualcuno contributo, io li chiamo sacrifici. Pescatori e operai saranno contenti, le banche un po’ meno", dice incontrando assieme al suo vice, Maurizio Leo, i giornalisti a Palazzo Chigi. Al suo fianco non c’è la premier, volata a Bruxelles: per illustrare la manovra di persona aspetta l’inizio della prossima settimana, lunedì o martedì, quando ci sarà il testo definitivo e, vedi la coincidenza, sarà il secondo compleanno del suo governo: festa grande, champagne e trionfalismo a gogò. Ma dal Belgio ci tiene a far conoscere la soddisfazione per una manovra "seria e di buon senso".
Rispetto al titolare del Mef, lei con le banche è più conciliante: "Non sono avversari, abbiamo lavorato assieme, e li voglio ringraziare". Il leader azzurro Antonio Tajani, che aveva fatto scudo agli istituti di credito, concorda: "C’è un accordo, non è un’imposizione né una tassa". Fa buon viso a cattiva sorte Matteo Salvini, che avrebbe voluto un ben più pesante salasso: "Che le banche restituiscano ai cittadini una parte dei loro guadagni è una cosa che mi rende orgoglioso". Per sgombrare il campo da equivoci e musi lunghi, i tre leader si vedono a cena a Bruxelles per un vertice di maggioranza all’hotel Amigo con Raffaele Fitto.
Sulle banche hanno ragione un po’ tutti, ma la verità non sta nel mezzo: è sbilanciata sul versante Giorgia-Antonio. Il contributo è un rinvio di due anni dei crediti di imposta pari a 2,5 miliardi. Non è un rinvio sine die, sempre che il testo definitivo confermi la restituzione in due anni; per questo l’Abi sospende il giudizio e Giorgetti dice: "Fanno bene le banche a essere caute".
Sia ben chiaro: la terza manovra di questo governo non lascia molti margini alle promesse elettorali. "Di più non si poteva fare", il mantra a Palazzo Chigi. La premier comunque è soddisfatta di una legge di bilancio "che non aumenta le tasse, lascia i conti in ordine". E per la compattezza della maggioranza, che lei vuole continui anche durante l’esame delle Camere; poche dovranno essere le modifiche. Ancorchè Tajani con i suoi è possibilista: "Tranquilli, la legge di bilancio non è chiusa".
La destinazione della manovra da 30 miliardi è nota. Per Giorgia sono fondamentali "gli interventi a favore delle famiglie", che abbondano ma solo se si hanno uno o più figli, "il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento dell’Irpef che sono diventati strutturali". È orgogliosa per l’attenzione al lavoro, con i "4 miliardi e mezzo che vanno al rinnovo dei contratti per il pubblico impiego".
Il secondo fronte di scontro riguarda la sanità. Qualcosa in più c’è: circa 900 milioni.
Per l’opposizione e gli operatori sanitari è una miseria ma il ministro dell’Economia non ci sta e precisa: "Alla sanità il prossimo anno andranno, rispetto al 2024, 2.366 milioni di euro in più". Se il contributo delle banche è quello che desta più scalpore, parte delle risorse arriveranno dalla riduzione del 5% della spesa corrente dei ministeri (2,3 miliardi). Giorgetti sardonico rivela che "in Consiglio dei ministri la delusione era diffusa tra i colleghi: il meno deluso dovrebbe essere Schillaci". In effetti il ministro della Sanità data l’emergenza del settore è salvo. Esentato dai tagli anche Guido Crosetto, il titolare della Difesa. Pure la guerra è un’emergenza. Un miliardo arriverà dalle assicurazioni, e un altro per l’intervento sugli sgravi fiscali delle imprese.
Nell’incontro con i giornalisti il ministro Giorgetti fa il punto anche su due misure che non rientrano nella legge di bilancio ma intorno alle quali si è accesa lo stesso la massima polemica nelle scorse settimane. Una è l’eventuale tassa sugli immobili che hanno usufruito con il Superbonus: "Deve fare l’aggiornamento delle mappe catastali". L’altra sono le accise sui carburanti. La decisione spetterà alle Camere, l’esito è scontato, l’aumento ci sarà. Risibile insiste Giorgetti: "Io la macchina ce l’ho a gasolio, pagherò un centesimo in più al litro, una stangata da cui non mi riprenderò più...".
La manovra insomma è quasi pronta. La palla passerà poi al Parlamento dove arriverà il 21 ma soprattutto a Bruxelles. Giorgetti è ottimista: "Abbiamo definito l’accordo con la Commissione per i contenuti del piano in sette anni". Cosa chiederà l’Europa in cambio dell’allungamento dei tempi è però ancora ignoto.