Superlega: non c’è più posto per il calcio romantico

Il piccolo Davide non abbatterà più Golia, addio alle favole come quella del Leicester. Ma i tempi (e i costumi) cambiano

L’allenatore del Leicester City, Claudio Ranieri, ’incoronato’ dai giocatori dopo la vitto

L’allenatore del Leicester City, Claudio Ranieri, ’incoronato’ dai giocatori dopo la vitto

Okay, okay. Lo so, suona male. Peggio, questo progetto di super campionato europeo riservato ai Paperoni del pallone, beh, pare quasi un attentato alle sacre istituzioni del cuore.

Non a caso, si può cambiare moglie ma non maglia (nell’impresa, si mormora fossero riusciti solo Cesare Romiti ed Emilio Fede, per compiacere rispettivamente Gianni Agnelli e Silvio Berlusconi).

Lo so, lo sapete. Il calcio ha un valore socio-culturale immenso. Non a caso, per decenni fu snobbato dagli intellettuali da salotto: costoro si convinsero a proclamarsi tifosi, come la plebe, solo quando intuirono che così avrebbero moltiplicato le ospitate televisive a gettone.

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Lo so, lo sapete. Cosa c’è di più bello e romantico della Juve che va a giocare a Crotone, del Liverpool di scena a Sheffield o del Bayern in campo a Dresda? E ditemi, chi non si è innamorato del mitico scudetto del Cagliari di Gigi Riva o del miracolo oltre Manica del Leicester di Claudio Ranieri?

Non può non piacere la favola eterna di Davide che abbatte Golia e il pallone è un fenomeno irresistibilmente popolare proprio perché, sia pure di rado, allo scadere dei novanta minuti più recupero anche i ricchi piangono. Ci sentiamo tutti Robin Hood, tranne quelli che per vizio perverso si identificano con lo sceriffo di Nottingham.

Nasce la Superlega europea

Ci siamo, fin qui? Se ci siamo, ben si comprende la reazione al progetto di Agnelli e sceicchi, di fondi di investimento milanisti e di comunisti cinesi interisti, di madrileni e barcellonisti. In breve: siccome siamo noi a portare il pallone, cioè a creare le grandi squadre zeppe di campioni, d’ora in poi le regole ce le facciamo da soli.

Giocheremo tra di noi, offriremo sfide prestigiose e tanti saluti alla serie A, alla Premier, alla Liga, insomma ai campionati nazionali, per forza di cose ridimensionati e sviliti. Mostrare soldi vedere cammello, cioè i gol.

Fa schifo? Abbastanza, se ci limitiamo, qui ed ora, ad inneggiare alla nostalgia canaglia. Sia chiaro: non rinnegherò una riga di quelle scritte sopra. Solo che.

Solo che, a dispetto del sentimento nostro, il mondo cambia. Non necessariamente in meglio, ma le cose mutano. Evolvono. Si trasformano.

Mica pretendo di mescolare il sacro al profano, ma quando ero bambino mi spiegavano che guai a toccare l’ostia con le mani, al momento della Eucaristia. E un tempo forse non ci sarebbe sembrato logico acquistare oggetti senza vederli da vicino: adesso il commercio elettronico domina i mercati. Ancora: avremmo mai accettato di pagare in anticipo un biglietto aereo in mancanza del documento cartaceo da custodire preziosamente in tasca fino al momento del check in? Oggi, in tasca ci teniamo il leggendario cellulare e ci fidiamo di un codice che appare lì sopra e che magari ci è stato inviato da un server ubicato nel Bangladesh...

Dove voglio arrivare? A difendere la trovata dei gradassi milionari pallonari? Che Dio me ne scampi e liberi. Stanno esagerando con la logica smargiassa del ’fatto compiuto’, quando invece avrebbero dovuto - e ancora dovrebbero tentare - di spiegare e al limite cercare di persuadere (ma è chiedere troppo, eh).

Dico solo che, per stare al tema, meno di trent’anni fa in Coppa Campioni ci andava solo la squadra che vinceva il torneo nazionale. Si è poi passati a quattro rappresentanti per i Paesi importanti e, a volte, la Coppa con le orecchie è stata sollevata da chi, un anno prima in patria, era arrivato a trenta punti dalla prima. E non abbiamo fatto una piega.

D’accordo, stavolta magari non ci adegueremo. Ma meravigliarsi della meraviglia, insomma, non è del tutto fuori luogo.