Sabato 27 Luglio 2024
ALESSANDRO D’AMATO
Cronaca

Lettera di una professoressa: "Un mio ex alunno si è ucciso in galera. Per me è una sconfitta"

Ogni cinque giorni un detenuto si toglie la vita: 68 tragedie nel 2023. Già due vittime quest’anno, l’ultima è un 26enne di Padova. La sua ex insegnante fa la volontaria nei penitenziari: "Il sistema non funziona"

La prof e volontaria Manuela Mezzacasa, Stefano Voltolina suicidatosi in carcere

La prof e volontaria Manuela Mezzacasa, Stefano Voltolina suicidatosi in carcere

Roma, 11 gennaio 2024 – “Quando mi trovo davanti al suicidio di una persona di 26 anni che è stato mio alunno e che ho incontrato in un contesto carcerario, credo che i termini della sconfitta ci siano tutti. Un ragazzino che a 11 anni aveva già dei problemi per cui era stato segnalato ai servizi sociali, ritrovarlo in galera per me è una sconfitta. Ma non è solo mia". Manuela Mezzacasa ha scritto una lettera all’associazione Ristretti Orizzonti per raccontare la storia di Stefano Voltolina, che si è ucciso nel carcere Due Palazzi di Padova. Mezzacasa, insegnante, per due anni alle scuole medie ha avuto Stefano come allievo. Oggi fa volontariato in carcere con l’associazione Granello di Senape.

È anche una sconfitta del sistema?

"Guardi, prendersela con il sistema è come prendersela con i mulini a vento. Non voglio parlare di responsabilità o concorsi di colpa. Nel Due Palazzi di persone che lavorano per mitigare la situazione ce ne sono tante. Il problema è che nonostante questo, non funziona e non può funzionare. Bisogna cambiare qualcosa prima del carcere. Bisogna dare un’alternativa a questi giovani"

La storia di Voltolina: famiglia numerosa, bocciature a scuola, dopo la condanna per violenza sessuale era seguito in carcere dopo qualche segnale. Anche questo non è servito?

"Ci sono tanti fattori che concorrono. I servizi all’interno del carcere non possono individuare la singolarità di ognuno di loro. Ma è impossibile. Stefano era un ragazzo che difficilmente avrebbe trovato la sua dimensione lì, anche se ci provava in tutti i modi: la biblioteca, la scuola, il coro, il corso di musica. Ci ha provato, ma è stato inutile. Perché gli mancava la cosa più importante: la libertà. Da piccolo scappava dalla casa-famiglia per raggiungere i suoi e andare al mare, faceva 40 chilometri in bici a 11 anni".

Quanti Stefano Voltolina ci sono nelle galere italiane?

"Troppi. Ne vedo tanti come lui. Per me è sempre un trauma quando vedo ragazzi di vent’anni con una vita alle spalle. Loro ce la mettono tutta, cambiano tantissimo. Io non so per cosa fosse dentro Stefano, lui non me l’ha detto. Gli ho solo chiesto se avesse la ragazza e lui mi ha risposto: “È per quello che sono qui”".

La poesia di Stefano se la ricorda?

"Parlava di questa ragazza, intessendo le sue lodi in maniera molto poetica e originale. Me l’ha recitata: lui dettava, io scrivevo al computer. Diceva sempre di non avere memoria, ma la poesia la ricordava tutta. Ed era quasi perfetta come metrica. Aveva un suo ritmo, forse era una canzone rap".

Perché lei quando insegnava non voleva bocciare Stefano?

"Perché se un ragazzo che non aveva mai frequentato scuole a un certo punto decide di farlo, non si può cambiarlo di classe. Anche se è insufficiente nelle materie. Di un ragazzo così va mantenuta la continuità, con le relazioni che ha intessuto in due anni. Ma il consiglio di classe ha deciso diversamente"

Come funziona il suo lavoro all’interno del carcere?

"Faccio parte di una cooperativa che lavora lì da vent’anni, anche se sono l’ultima arrivata. Lavoro nella biblioteca del carcere, che è fornitissima: gli scaffali sono stati fatti dai detenuti ed è collegata con le altre. Ci sono volontari che si occupano di catalogazione e riordino, quindi c’è tanto lavoro alle spalle. Io faccio la consulente dei detenuti, consiglio libri e opere e li sto a sentire. I libri sono sempre un punto di partenza, ma poi mi raccontano le loro storie. A volte ci azzecco, altre no. Un altro giovane un giorno mi ha detto: “Per me venire qui a parlare con lei è l’unico momento in cui mi sento una persona”. Un detenuto maghrebino mi ha chiesto di scrivere una lettera alla sua donna. È l’incontro tra due persone".