Mercoledì 24 Aprile 2024

Restare soli con la morte non è libertà

Davide

Rondoni

è un punto di fuoco che nel dibattito sulla eutanasia si vuole aggirare. Si parla (e straparla) di dolore, con poco rispetto per chi soffre, con un sottile ma micidiale ricatto verso chi si oppone, quasi fosse un fautore del dolore altrui, e si parla di libertà con poca consapevolezza di cosa sia. Lasciamo perdere dunque la discussione sul dolore, che è faccenda di tutti, e non può essere usato come ricatto, né come vanto, tantomeno come argomento, tanto è vero che se ci sono fautori dell’eutanasia tra chi soffre, ce ne sono forse di più tra chi vi si oppone. E l’argomento decade.

I referendari dicono di agire in nome della libertà, intesa sempre e solo come autodeterminazione dell’individuo. Ma siamo sicuri che la libertà sia pura autodeterminazione? Quando accade una libertà del genere? Alla nascita no, non nasciamo per autodeterminazione. Da bambini la libertà dipende dai rapporti fondamentali. Da ragazzi e adulti la libertà non è esperienza di mancanza di legami, semmai di vincoli che ci fanno sentir liberi, amare, generare, costruire. Da vecchi gli stessi legami ci regalano ancora libertà. Chi è dunque questo astratto solitario individualistico autodeterminato? L’eutanasia, la buona morte, ovvero la decisione di porre fine a sofferenze inutili, è già prevista come decisione presa in seno a una comunità di affetti, di competenze, di sostegno. Così è sempre stato. Ma ora si è affacciato l’individuo autoderminato, invenzione astratta della società capitalista e delle sue lobby, come aveva intuito Pasolini. Un soggetto astratto, solitario di fronte allo Stato, senza amici e parenti e curanti di cui fidarsi. Diritti che somigliano infatti proprio a quelli del consumatore. Come se la libertà fosse scegliere un prodotto o l’altro. Ma vita e morte non sono due prodotti, e sono esperienze personali non individualistiche. Le cose stanno in modo più profondo e delicato.