Mercoledì 24 Aprile 2024

La Romagna colpita al cuore saprà ripartire

Valerio

Baroncini

Come una mitragliata alla schiena, a guerra finita. La seconda alluvione della Romagna azzanna la stagione appena partita e devasta stabilimenti, ristoranti, alberghi, spiagge che parevano essere stati risparmiati dal disastro di due settimane fa. E, dunque, proiettati a un orizzonte di successo. Questo è un dramma di famiglia, anzi delle famiglie: qui le imprese sono secolari. E alla perdita delle case si somma la devastazione dei luoghi di lavoro, spesso di padri madri figli, e la futura mancanza di quel lavoro: l’anno scorso, in questi giorni, si faceva il bagno. Ora, davanti alla ruota panoramica, giace una motovedetta incagliata fra i tronchi vomitati dai fiumi. Maggio, e non aprile come scriveva il poeta, è il più crudele dei mesi: il suo senso di fertilità, di rinascita, di primavera, di vacanza, di gioia, mescola memoria e desiderio, rianima un mondo che si scopre nuovamente raso al suolo dal cambiamento climatico, dalla rivoluzione dei cieli e delle temperature, ma anche e soprattutto dall’assenza di manutenzione e di piani di emergenza nazionali. Costringe l’uomo a fare i conti con la violenza della natura e un po’ anche con la propria miseria.

La Romagna in ginocchio, sommersa, è però una terra di resistenza, di gente che si rimbocca le maniche. Di gente che da secoli lotta con l’acqua: pensate a Cesenatico, con le porte vinciane che proteggono il centro dalle ingressioni marine in una storia di 500 anni che porta a Leonardo. Oppure alla Bassa degli scariolanti, per epoche intere impegnati a bonificare paludi fangose gonfiate dai fiumi in una vita sottosopra. Tin bota Romagna, tieni botta Romagna, appare sui social, con la caveja (il perno che nei carri teneva fermi i gioghi) sulla bandiera giallorossa dell’orgoglio locale. Un simbolo di operosità e resistenza. Si (ri)parte proprio da qui: le spiagge, l’economia, l’accoglienza che hanno portato la Romagna a un posto nel mondo.