Mercoledì 24 Aprile 2024

E i francesi che (ci) scopiazzano Mozzarella meglio del camembert

Vendite record del formaggio tricolore. Non è solo l’effetto pizza ad aver sfatato un mito della grandeur

di Mauro

Bassini

Se trent’anni fa ci avessero raccontato che un bel giorno in Francia si sarebbero vendute più mozzarelle che camembert, ci saremmo messi a ridere. E invece l’incredibile sorpasso è avvenuto e un pilastro della grandeur gastronomica francese incassa una imbarazzante sconfitta. Da gennaio a settembre di quest’anno i francesi hanno comprato 29mila tonnellate del celebre formaggio normanno e ben 33mila di mozzarella. Lo racconta Le Figaro, con toni di grande preoccupazione. In realtà, quasi tutti gli storici emblemi della buona tavola francese sono in sofferenza. Il foie-gras, ad esempio. Per la Fao il meraviglioso fegato grasso, da sempre ottenuto ingozzando brutalmente anatre e oche, è "crudele e illegale". Dopo vibranti campagne animaliste lo Stato di New York, per primo al mondo, ne ha vietato la produzione e la vendita.

Resiste lo champagne, nonostante la poderosa avanzata internazionale degli spumanti italiani. E resistono le magnifiche ostriche, figlie di una cultura antica, radicata, maniacale. Prodotto sublime e inimitabile, ma di nicchia. La sconfitta del camembert ha tante motivazioni. Certo, è un formaggio grasso, penalizzato da un mercato che chiede sempre di più prodotti leggeri e digeribili. Ma ha anche ragione lo scrittore gourmet Allan Bay quando dice che il formaggio light sta al formaggio come una bambola gonfiabile sta a una bella donna. Il boom della mozzarella nasce soprattutto dal clamoroso successo francese della pizza che da Parigi si è diffuso in tutta la Francia. La realtà, al di là dei formaggi e delle pizze, è che ai francesi piace sempre di più tutto ciò che arriva dall’Italia, e la storia cominciò fin dai tempi di Mitterrand. Il presidente socialista, che amava l’arte italiana e il cibo italiano, spalancò le porte agli architetti di casa nostra (purtroppo anche a un bel gruppetto di terroristi). Renzo Piano e Gae Aulenti firmarono straordinari pezzi della nuova Parigi: il Beaubourg, il Musée d’Orsay. Nelle librerie i fumetti di Hugo Pratt cominciarono a vendere come Asterix e Tintin. I concerti di Paolo Conte e Riccardo Cocciante riempivano i teatri per giorni e giorni. I parigini applaudivano perfino quando Conte cantava di Bartali e dei francesi che s’incazzano. Insomma, dalla fine degli anni Settanta l’Italia è diventata di gran moda. Compresa la moda made in Italy, naturalmente. Nel giro di pochi anni il gigantesco gruppo di Bernard Arnault (quello di Dior e Louis Vuitton, 145mila dipendenti, 54 miliardi di fatturato annuo) ha fatto incetta di grandi griffe nostrane. Si è comprato Bulgari, Fendi, Emilio Pucci, Loro Piana, Acqua di Parma. E ha pure un direttore generale italiano, Antonio Belloni, riservato manager lombardo di grandi esperienze internazionali.

Forse ha ragione Fabrice Collier, presidente del sindacato dei produttori di camembert, che ha commentato il sorpasso della mozzarella sostenendo una tesi elegante e buonista. Secondo lui, il sentimento di tanti francesi verso l’Italia non è più l’invidia, non è la rivalità e nemmeno un antico complesso di superiorità. È semplicemente amore e ammirazione. E così capita che un albergo simbolo del lusso e dell’accoglienza parigina, l’Hotel George V, affidi un suo ristorante interno a un giovane cuoco italiano che si chiama Simone Zanoni. E capita perfino che questo cuoco snobbi lo

champagne e serva Franciacorta al calice. Il solo formaggio che per un certo periodo ha avuto in carta è italiano. Trent’anni fa quel cuoco sarebbe stato considerato un pericoloso provocatore e avrebbe rischiato grosso. Oggi è uno degli chef più emergenti di Parigi.