Crisi di governo: retroscena. Conte, sfida in parlamento poi un partito tutto suo

Il premier è sempre più solo. Teme che le forze di maggioranza lo stiano scaricando e il Quirinale non intenda proteggerlo a lungo

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Che finisca con un Conte-ter, con la sfida in aula al Senato o con Conte fuori dai giochi, una cosa è certa: l’avvocato del popolo, nella giornata più nera e controversa della sua avventura politica, ha dovuto rendersi conto di che cosa significhi essere soli. "Comunque si chiuda la crisi – suggeriscono da più parti – da oggi in avanti conteranno molto, ma molto di più i partiti. E questo il presidente del Consiglio lo ha capito solo alla fine, suo malgrado".

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Lo ha capito di sicuro, se mai ve ne fosse ulteriore bisogno, nel colloquio finale con il Presidente della Repubblica, quando ha dovuto incassare il veto all’operazione ’Responsabili’ al Senato. E non è un caso che, anche tra i grillini contiani, si ragionasse, nella tarda serata di ieri, sul ritardo col quale a Palazzo Chigi si è messa in moto la macchina che doveva portare alla creazione di gruppi parlamentari autonomi che facessero riferimento al premier.

"Ci manca lo scudo, non l’abbiamo costruito per tempo", è il refrain che circolava nell’inner circle del premier. E sì, perché, è come se all’improvviso Conte si fosse reso consapevole di non avere le spalle coperte e di ritrovarsi più fragile di quello che immaginava. È la solitudine dei numeri primi, nella versione più eufemistica. È l’isolamento di chi è in caduta libera, nell’ipotesi meno favorevole.

Il premier, forgiatosi nell’anno di Vietnam del governo giallo-verde, ha compreso che il Capo dello Stato, che l’ha sempre "tutelato", non sembra volere spingersi oltre nella copertura politico-istituzionale: non può e non intende farlo. Non basta. I grillini, all’apparenza compatti nella sua difesa, non sono, però, il suo partito: e lo stesso Conte è conscio che Luigi Di Maio si è mostrato come il più tiepido dei suoi sponsor in queste settimane. Mai una parola sopra le righe, un ultimatum, un avviso scomposto a difesa della causa contiana. Anche nella serata di ieri, il massimo del conforto è stato un "Di Maio preoccupato, massimo supporto a Conte", attribuito a fonti vicine al Ministro degli Esteri. E questo a non volere considerare clamorosa l’ultima uscita di Beppe Grillo a favore di un governo "di tutti i costruttori": con il nome del premier attuale solo nel sottotitolo del post. Sul Pd c’è ben poco da aggiungere: il giurista prestato alla politica sa bene che può fare affidamento su molti ministri dem, contiani di complemento, e su Goffredo Bettini, ma lo stato maggiore del Nazareno e, principalmente, i gruppi parlamentari, la pensano come Matteo Renzi sul suo conto.

Dunque, quello che era fino a l’altro giorno un punto di caduta inaccettabile per Palazzo Chigi, il Conte-ter, è diventato un approdo auspicabilissimo. Peccato, però, che la crisi sia andata oltre e l’opzione si è fatta sempre più evanescente. Ma, anche ammesso che ci si arrivi, i partiti non saranno più i destinatari delle decisioni del governo, ma gli azionisti della maggioranza. Da qui la spinta, per l’avvocato del popolo, verso la costituzione di suoi gruppi parlamentari. In vista di un suo partito vero e proprio. Ma potrebbe essere tutto tardivo. E allora ecco che, nella notte solitaria di Largo Colonna, torna a farsi strada la tentazione della mossa disperata: quella sfida in aula al Senato, così coltivata dal duo Casalino-Travaglio.