di Viviana Ponchia
La sera di Natale ha allontanato con una scusa la compagna Giovanna per rimanere da solo nella casa di piazza Castello. Ha lasciato alcune lettere per le figlie e gli amici. E la pistola, regolarmente denunciata, con cui si è tolto la vita sparandosi alla testa. Angelo Burzi, 73 anni, ex assessore regionale e figura di spicco della politica subalpina di centrodestra, tra i fondatori di Forza Italia in Piemonte, era stato accusato di peculato nella cosiddetta Rimborsopoli, l’inchiesta che aveva acceso i riflettori sulle spese di fondi dei gruppi consiliari fra il 2010 e il 2014. Assolto. Poi condannato a tre anni il 14 dicembre.
Una sentenza vissuta come una pesante ingiustizia, ai limiti della persecuzione personale e politica. I due percorsi avevano finito per intrecciarsi: la scoperta di una grave malattia, lo sconcerto per la disparità di trattamento rispetto ad altri colleghi. Ruvido, arguto, granitico. Così veniva descritto l’ingegnere elettrotecnico, dirigente d’azienda e imprenditore che cinque anni fa aveva promosso il pensatoio della fondazione Magellano con queste parole: "Bisogna ragionare guardando a dopodomani perché dall’attuale crisi in cui vive Torino non si esce in un batter d’occhio". Pensava al futuro, si è fermato prima.
L’ex viceministro alla Giustizia Enrico Costa parla di un amico "impegnato e coraggioso" rimasto intrappolato nella contraddizione degli anni scanditi da stop and go: "Probabilmente ha subito picconate così pesanti che anche una persona come lui non ha retto". Il rapporto irrisolto fra politica e magistratura, le storture del sistema giudiziario: "Inaccettabili i tempi – insiste Costa – Ed evidenti le disparità di sentenze a singhiozzo".
Su Twitter non si dà pace Guido Crosetto: "Angelo era intelligente e raffinato, scorbutico, tenero e profondo. Un uomo piegato da anni di assurde ingiustizie e violenze giudiziarie. Ha detto basta. Ha deciso che non valeva più la pena vivere in questo mondo".
È commosso anche l’ex governatore Roberto Cota, finito a sua volta nel pentolone delle spese pazze che nello specifico comprendevano gomme per l’auto, panettoni, buoni benzina, massaggi e le famose mutande verdi da lui definite "ignobile trovata mediatica": "Burzi era retto, onesto e ha vissuto con dolore Rimborsopoli, sulla quale credo sia necessario adesso un approfondimento. Non si dava pace per come è stata gestita la vicenda, una delle pagine più incredibili della recente storia giudiziaria".