Prato, 23 dicembre 2014 - Lo storico Franco Cardini questa volta si è divertito a ripercorrere la storia, e a raccontarla, anche attraverso una serie di ricette che ha sperimentato di persona. Ha unito lo storico al gourmet: chi meglio di lui, allora, può dettare il menù di questo Natale?
Professore, nel suo nuovo libro "L’appetito dell’imperatore. Storie e sapori segreti della Storia", edito da Mondadori, ci racconta dei piatti preferiti dai grandi della Storia. Ma lei cosa mangia a Natale?
«Sono molto tradizionalista. Non sopporto la Pasqua senza agnello, e lo dico da animalista, o il capodanno senza lo zampone con le lenticchie, che tra l’altro porta anche bene».
Vince la storia anche a tavola, insomma.
«Sono contrario a cambiare perché le feste hanno un valore rituale, è rimasta quasi l’unica cosa. Mi piace essere fedele alla tradizione. Se fossi napoletano mangerei il capitone, anche se faccio fatica a sopportare solo l’idea... Niente pesce per me, però nel mio libro, per rispetto a certe circostanze storiche e certi lettori, ho inserito anche ricette di mare».
Ci siamo: si immagini in cucina e cominciamo a preparare i piatti del menu di Natale per i pratesi.
«D’accordo, cominciamo».
- Antipasto.
«Crostini di fegato e milza col burro fuso, una ricetta grazie alla quale il fegato del povero vitello che viene macellato si vendica del fegato umano».
Come si preparano?
«Bisogna tagliare e bollire separatamente fegato e milza, preparando anche un soffrittino leggero in padella con olio cipolla e aglio, che però non devono comparire nel sapore. Fegato e milza si fanno cuocere brevemente e aggiungerei anche dei capperi, ma per poco tempo. L’ideale sarebbe prepararli a parte in un bicchiere di vin santo. Quando milza e fegato sono quasi pronti bisogna aggiungere il burro. Appena è fuso chiudere la fiamma, ma prima consiglio di aggiungere una romaiolata di brodo. Rimarrà un residuo liquido che non va buttato via ma usato come base per i tortellini».
Aspetti, prima finiamo i crostini. Non ci lasci proprio sulla fine.
«Giusto. Allora, si preparano a parte i tondini di pane, si usa un buon cucchiaio da minestra per farcire ogni tondino e solo allora bisogna spolverare con una generosa, e sottolineo generosa, non facciamo i fiorentini, dose di parmigiano. Guai a mettere il pecorino...».
Giusto, non si può barare. Passiamo al primo.
«Ormai ci siamo arresi all’imperialismo bolognese, dunque dico tortellini in brodo oppure ravioli mugellani di patate e verdura con burro e salvia».
Fedeli alla tradizione anche sul secondo?
«E come no. Il bollito misto è la base per ogni Natale che si rispetti, con purè e salsa verde con l’uovo sodo».
Via professore, così però è troppo facile...
«D’accordo. Allora col bollito propongo una ciotola di mostarda dolce di Cremona, stando attenti che ci siano ciliegie, cedro, albicocche e pere».
Buona. Si può fare a casa?
«E’ dura. servono miele, senape, cognac e vin santo e bisogna bollire la frutta prima. Serve pure il vino cotto. Se chiedi una ricetta così a donne giovani sai che dicono?»
Cosa?
«Di andare a Cremona e comprarla lì...».
Siamo al dolce.
«Panettone milanese basso o pan dolce genovese».
Avremmo finito, però manca ancora qualcosa. La ricetta Cardini.
«E sia. Dico l’oca arrosto farcita».
Ottimo. Vada pure...
«Per la farcitura servono salsicce toscane, frutta secca e frutta fresca. Diciamo un terzo, un terzo e un terzo. Per la frutta fresca consiglio mele e pere, se piacciono, con l’arancia, ma la scorza tritata va a parte. Frutta secca: mele, albicocche, pesche e prugne, in più mandorle, pinoli e noci. L’anatra deve essere almeno un paio di chili, va riempita con la farcitura e coperta con il bacon. Per la cottura direi di farsi consigliare dal macellaio».
Abbiamo finito, ma c’è un’ultima curiosità. Lei che ha svelato i peccati di gola della Storia, ha un ingrediente segreto?
«Mi piacciono le spezie come noce moscata e cannella. E nel bicchiere vin brulè. Inoltre non bisogna mai lesinare sulla qualità dei prodotti, anche per la salute. Non dimentichiamoci che quando si parla dei consigli di un medico o di uno chef si usa la stessa parola: ricetta».
Leonardo Biagiotti