Venerdì 18 Luglio 2025
LUIGI CAROPPO
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Orrore in un clic. Il tribunale di Facebook

NEMMENO il macigno della morte provocata al miglior amico ha scalfito la sua lucidità. Nemmeno la consapevolezza che il mondo intorno a lui stava tremendamente sprofondando ha suscitato una lacrima, un grido di dolore. Nemmeno la sua firma da assassino ha graffiato la coscienza. Anzi ha cercato di assolversi davanti al «tribunale del popolo» dei social, spiegando in lungo e largo perché e per come. Inquieta leggere il messaggio su Facebook, fa ancora più impressione ascoltare la sua voce nella storia su Instagram. Mentre il coetaneo colpito a morte era disteso sul marciapiede e i carabinieri gli davano la caccia. Ma dove siamo finiti? «L’ho fatto per amore». Quello non era amore per la sua ragazza che forse confessava il momento di crisi al suo amico del rione. Non era amore molesto, tossico, malato come spesso cerchiamo di giustificare. Non era amore. Punto e basta. E quello non era il suo grande amico. L’amore vero va oltre. E spesso l’amicizia vera è anche più forte, autentica, radicata degli affari di cuore. Un tempo, non troppo lontano, ci si confessava delle colpe più atroci dal prete del paese, si bussava alla porta della canonica anche a notte fonda. Proprio per liberarsi del masso che stava soffocando l’anima. Ci si consegnava alla giustizia di Dio prima che a quella degli uomini. Oppure ci si metteva nelle mani dei carabinieri se ci si vergognava davanti al proprio Dio. Ora non si ha più nemmeno coraggio di fare così: sprofondare nello strazio, nell’abisso della colpa e sperare nel perdono, un giorno chissà. Clic, si accende il social. E si parla di tradimento e morte come se fosse il resoconto della partita di calcetto giocata poco prima. Se ne parla a ruota libera, giustificandosi, puntando il dito. Parole che si amplificano tra i followers, ma che tornano indietro. Un boomerang della coscienza che deve fare ancora i conti con se stessa. Il vero tribunale senza appello.