Venerdì 3 Maggio 2024

"Il Califfo braccato sui social". Europol: siti a rischio oscurati

La polizia Ue ha individuato e rimosso tremila scambi ‘sensibili’

Un sito di reclutamento (foto d'archivio)

Un sito di reclutamento (foto d'archivio)

Bruxelles, 20 luglio 2016 - Nella guerra sempre più asimmetrica contro il terrorismo islamico, la rapidità con cui vengono individuati le informazioni e i messaggi online di entità e individui legati alle ‘centrali’ dell’Isis, l’azione di propaganda e reclutamento via Internet può fare la differenza. Tanto più quando si tratta di individuare anche i percorsi dei ‘cani sciolti’, di chi si immette nella scia terrorista senza ricevere ordini. L’anti-terrorismo passa per i social media perché i gruppi organizzati di terroristi islamici, come i singoli, li usano sapientemente e correntemente: per creare una audience, amplificare l’effetto dirompente dell’azione assassina bruta, diffonderne il modello, ma anche per indicare spostamenti, per il ‘passaparola’.

Il centro motore dell’attività anti-terrorismo europeo attraverso i social è all’Aja, nell’Europol, l’Agenzia di polizia Ue. Da quest’anno è in funzione un’unità operativa con l’obiettivo specifico di sostenere gli Stati nell’azione contro la radicalizzazione. Gli attacchi di Parigi hanno costituito il punto di svolta per Europol. Prima del 2015, l’intero database sul terrorismo dell’agenzia aveva 1 milione e mezzo di ingressi (nuovi singoli dati), rispetto ai 25 milioni per il crimine organizzato. Solo la strage di Parigi arriva a 1 milione centomila ingressi. Dal numero di telefono delle persone coinvolte, alla prenotazione di un volo, a un biglietto ferroviario, fino a un messaggio o fotografia pubblicati in un social media: tutto è codificato. Tuttavia, si segnala il rischio che gli investigatori possano essere soffocati da dati che è difficile processare.

L’unità Internet Europol lavora parallelamente all’unità di cooperazione investigativa. Obiettivo: ridurre l’accessibilità online del materiale terrorista di propaganda, dai video sulle attività estremiste e violente alle decapitazioni, dalle istruzioni per confezionare bombe e cinture esplosive ai discorsi di preparazione allo scontro razziale e religioso. Finora sono stati valutati 4700 ‘pezzi’ di 45 piattaforme online, lavoro che ha portato all’individuazione di 3200 comunicazioni sensibili, rimosse dalle società Internet nel 91% dei casi. Lo scorso aprile, in una operazione congiunta Europol-Regno Unito, sono stati individuati 1622 contenuti multimediali e account social in 4 lingue, ospitati da 13 provider di servizi online e media a forte presenza di propaganda terrorista e di estremismo violento. Nel giro di un giorno e mezzo sono stati chiusi. Allo sblocco facile dei codici di accesso a email e telefoni mobili forzando la mano alle società Internet (soluzione osteggiata dal Parlamento), la Ue ha preferito coinvolgerle direttamente nell’azione preventiva.

Il coordinatore Ue anti-terrorismo Gilles de Kerchove, che aveva ventilato l’ipotesi di costringere le società informatiche ad aiutare i servizi di sicurezza, ha riconosciuto che «lavorando insieme con l’industria è possibile dare un contributo al contrasto del reclutamento riducendo il volume del materiale disponibile online». Siamo solo agli inizi. Un mese e mezzo fa, Commissione, Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft hanno definito un codice di condotta con un elenco di impegni per combattere la diffusione dell’incitamento all’odio online in Europa. Le aziende informatiche definiranno procedure interne assicurando personale specializzato affinché sia possibile esaminare entro 24 ore la maggior parte delle richieste giustificate di rimozione di contenuti che incitano all’odio e, se del caso, cancellarli o renderli inaccessibili. Non solo: predisporranno regole od orientamenti per la comunità degli utenti per precisare il divieto della promozione dell’istigazione alla violenza e a comportamenti improntati all’odio.

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