Mercoledì 24 Aprile 2024

Sultano modello Putin

E ADESSO per lui ad Ankara viene il bello. Erdogan non ha mai fatto mistero del fatto che l’obiettivo del suo mandato di premier sarebbe stato trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale. Ma anche per Erdogan la democrazia ha le sue regole. Per raggiungere il suo obiettivo il neopresidente dovrebbe attendere le poltiche del 2015 e conquistare i due terzi dei 550 seggi della Grande assemblea nazionale della Turchia, il Parlamento. Oggi il suo partito, l’Akp, ha 313 seggi, gliene servono 363 per centrare il suo obiettivo. Erdogan, sull’onda del trionfo di ieri, potrebbe però essere tentato di sciogliere il Parlamento e andare a nuove elezioni. Si tratta di un azzardo, ma l’uomo ha spregiudicatezza e ambizioni anche superiori ai suoi meriti. E se fino al 2011 ha fatto molto per trasformare la Turchia in un paese più ricco e più libero e per assumere un ruolo di potenza d’area, da allora ha accentuato i tratti autocratici.

LA TENTAZIONE di provarci è forte, e comunque, se anche dovesse decidere di non tentare il colpo grosso, resta il fatto che la sua sarà una presidenza apertamente di parte. Come ha detto in un recente comizio: «Un presidente non può essere imparziale e io non lo sarò». E quindi, come Putin con Medvedev, Erdogan sceglierà un premier che a lui risponda e lo teleguiderà. Come beneficio accessorio della nomina a presidente, Erdogan intascherà anche l’immunità presidenziale che lo metterà al riparo dalle indagini in corso per la tangentopoli turca esplosa il 17 dicembre e che ha visto coinvolti suoi ministri, da lui dimissionati, e intercettato il figlio. Non male, anche se Erdogan, che ha una forte influenza sul potere giudiziario, non si è mai preoccupato davvero dell’inchiesta che ha definito — come le proteste di Gezi Park che represse con durezza — frutto di una cospirazione globale contro di lui. Quello che dovrà considerare con maggiore attenzione nelle sue mosse da presidente sono invece le scelte di politica internazionale. Erdogan volle far entrare la Turchia nell’asse sunnita con Qatar, Arabia Saudita ed Egitto, si schierò con le primavere arabe, ruppe con Israele e spinse per la caduta di Assad al punto da aiutare i gruppi jhadisti che oggi in Siria e Iraq gli si rivoltano contro e diventano una minaccia per l’intero Medio Oriente. Da sultano, più prudenza sarebbe d’obbligo.