Sabato 18 Maggio 2024
NINO FEMIANI
Cronaca

Omicidio Vasto, il vescovo: colpa della giustizia lenta

La città è divisa. Il legale del vedovo: l’investitore non si era mai scusato

Fabio Di Lello con la moglie Francesca

Fabio Di Lello con la moglie Francesca

VASTO (Chieti), 3 febbraio 2017 - ORA si tenta di capire lungo quali tornanti sia scivolato il tormento di Fabio Di Lello fino a diventare una slavina vendicativa e omicida. Per comprendere il movente del delitto di Vasto, con il giustiziere fai-da-te che spara tre pistolettate all’investitore che uccise sette mesi prima l’amata moglie Roberta, si rovista nella psicologia del dolore o nel lassismo istituzionale. «Una giustizia lenta è un’ingiustizia», dice, ad esempio, l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte. Il presule – teologo che ama i saggi di Emmanuel Lévinas –, cerca di spiegare la follia omicida proprio con le parole del filosofo lituano: «Una vana attesa di giustizia non raddrizza i torti fatti ai deboli». Secondo il vescovo la tragedia poteva essere evitata «con un intervento rapido e una punizione esemplare». Poi, perché le sue parole non suonino come giustificazione, aggiunge: «Non c’è vendetta che può essere ritenuta giustizia. La vendetta produce sempre frutti dannosi, è un atto immorale».   LONTANO dalla teologia, si cerca una spiegazione più ‘terrena’ a quell’ossessione che sbrana il dolore di un uomo fino ad armargli la mano. È l’avvocato di Fabio, Giovanni Cerella, a fornirla. «Italo D’Elisa, dopo aver ucciso Roberta, nell’incidente stradale, non ha mai chiesto scusa, non ha mai mostrato segni di pentimento. Anzi, era strafottente con la moto. Dava fastidio al marito di Roberta, quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi. D’Elisa, tre mesi dopo l’incidente, aveva ottenuto il permesso per poter tornare a guidare la moto, perché gli serviva per andare a lavorare».    TUTTO riconduce alla tragica notte del primo luglio quando Roberta Smargiassi, 34 anni, moglie di Di Lello, calciatore un tempo molto apprezzato nelle serie minori dei campionati abruzzesi, viene travolta e uccisa dall’auto di D’Elisa, operaio di 21 anni. Da quella morte Fabio non si riprende più, incapace di superare lo schianto che gli ha portato via l’amore e la speranza di avere presto un bambino. La giustizia si mette in moto, a fine dicembre arriva il rinvio a giudizio per D’Elisa, indagato per omicidio stradale aggravato, ma per il giovane marito è come se il futuro fosse relegato in un’anticamera in cui il turno per la punizione del colpevole non arriva mai. «Mi chiedo: dove è la giustizia? Mi rispondo: forse non esiste!», posta su Facebook. Una percezione deformata dal lutto e dal dolore perché i tempi della giustizia non sembrano giustificare la vendetta. «Dal momento dell’incidente stradale che ha visto la morte di Roberta, il primo luglio 2016, all’udienza preliminare, che doveva essere celebrata il prossimo 21 febbraio a carico di D’Elisa – scrivono il presidente del Tribunale, Bruno Giangiacomo, e il procuratore, Giuseppe Di Florio – sarebbero passati meno di 8 mesi. Un tempo che non solo non evidenzia alcuna lentezza nello svolgimento delle indagini, ma segnala, al contrario, la celere trattazione del processo». E lo stesso Di Florio aveva parlato di un clima di odio che si era creato nel paese per i commenti sui social dopo la tragedia.   A FABIO quegli otto mesi, evocati dalla procura, pesano come un macigno sul cuore. Va al campetto ad allenare i ‘pulcini’ del Cupello, poi al cimitero a pregare. Infine prende la calibro 9, regolarmente detenuta, e spara contro il ventunenne. Tre colpi, due all’addome e uno al collo, mortali. Poi si aggira in stato confusionale tra cappelle gentilizie e loculi, dopo aver lasciato l’arma sulla tomba dell’amata consorte. Come fosse un ultimo ‘pegno’ d’amore, una promessa mantenuta di vendetta.  Di Lello è ora in cella nel carcere di Torre Sinello a Vasto. Oggi o domani l’interrogatorio di garanzia e i risultati dell’autopsia.