Medicina

Quei piccolissimi nemici delle nostre arterie

di
Franca Ferri
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Onnipresenti, le micro e nanoplastiche attaccano anche il cuore con effetti dannosi fino ad oggi sconosciuti e mai provati prima. Dopo averle trovate nell’uomo in diversi organi e tessuti, tra cui la placenta, il latte materno, fegato e polmoni, compresi i tessuti cardiaci, uno studio italiano rivela per la prima volta la loro presenza perfino nelle placche aterosclerotiche, depositi di grasso nelle arterie pericolose per il cuore e fornisce soprattutto prova inedita della loro pericolosità.

 

I dati raccolti mostrano infatti che le placche aterosclerotiche “da inquinamento” sono anche più infiammate della norma, quindi più friabili ed esposte a rischio di rottura con un aumento almeno 2 volte più alto del rischio di infarti, ictus e mortalità rispetto a placche aterosclerotiche che non sono infarcite di plastica. Lo ha verificato un ampio studio italiano coordinato da ricercatori dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, appena pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine, che dimostra come le placche aterosclerotiche contengano spesso micro e nanoplastiche a base di polietilene (PE, rilevato nel 58.4% dei casi) o polivinilcloruro (o PVC, individuato nel 12.5% dei casi), due dei composti plastici di maggior consumo nel mondo, utilizzati per realizzare prodotti che vanno dai contenitori ai rivestimenti, dalle pellicole plastificate a materiali per l’edilizia.

 

L’indagine è stata condotta su 257 pazienti con oltre 65 anni sottoposti a un’endoarterectomia per stenosi carotidea asintomatica, procedura chirurgica durante la quale sono state rimosse placche aterosclerotiche poi sono state analizzate con il microscopio elettronico così da rilevare l’eventuale presenza di micro e nanoplastiche, ovvero particelle plastiche con un diametro rispettivamente inferiore a 5 millimetri o a 1 micron (0,001 millimetri).

 

«L’analisi ha dimostrato la presenza di particelle di PE a livelli misurabili (circa 20 microgrammi per milligrammo di placca) nel 58.4% dei pazienti e di particelle di PVC (in media 5 microgrammi per milligrammo di placca)nel 12.5% – dichiara Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio e Ordinario di MedicinaInterna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” –; soprattutto, tutti i partecipanti sono stati seguiti per circa 34 mesi e si è osservato che in coloro che avevano placche ‘inquinate’ dalle plastiche il rischio di infarti, ictus o di mortalità per tutte le cause era almeno raddoppiato rispetto a chi non aveva placche aterosclerotiche contenenti micro e nanoplastiche, indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-cerebrovascolari come età, sesso, fumo, indice di massa corporea, valori di colesterolo, pressione e glicemia o precedenti eventi cardiovascolari. I dati mostrano inoltre un incremento locale significativo di marcatori dell’infiammazione in presenza dellemicro e nanoplastiche».

 

«L’effetto pro-infiammatorio potrebbe essere uno dei motivi per cui le micro e nanoplastiche comportano una maggiore instabilità delle placche e quindi un maggior rischio che si rompano, dando luogo a trombi e provocando così infarti o ictus – spiega Raffaele Marfella, ideatore dellostudio e Ordinario di Medicina Interna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” –. Dati raccolti in vitro e negli animali da esperimento hanno già mostrato che le micro e nanoplastiche possono promuovere lo stress ossidativo e l’infiammazione nelle cellule dell’endotelio che ricopre i vasi sanguigni, ma anche che possono alterare il ritmo cardiaco e contribuire allo sviluppo di fibrosi e alterazioni della funzionalità del cuore: questi risultati mostrano per la prima volta nell’uomo una correlazione fra la presenza di micro e nanoplastiche e un maggior rischio cardiovascolare».

 

«Il nostro studio non ha indagato l’origine delle micro e nanoplastiche rilevate nelle placche aterosclerotiche: considerata l’ampia diffusione di PE e PVC, attribuirne la fonte di provenienza nell’uomo è pressoché impossibile – precisa il Prof. Antonio Ceriello dell’IRCSS Multimedica di Milano –. Sono soprattutto le particelle plastiche più piccole, le nanoplastiche, a poter penetrare in profondità nei tessuti, ma numerosi studi ne hanno rinvenute anche di dimensioni maggiori e in quantità rilevabili in molti organi umani: si sono trovate particelle con un diametro fino a 10 micron nella placenta, fino a 15 micron nel latte materno e nelle urine, fino a 30 micron nel fegato, fino a 88 micron nei polmoni, con un diametro superiore a 0,7 micron nel sangue. Sebbene i nostri dati non stabiliscano un rapporto di causa-effetto, tuttavia suggeriscono che le micro e nanoplastiche potrebbero costituire un nuovo, importante fattore di rischio cardiovascolare di cui tenere conto».

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