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Prevenire la diverticolite a tavola, si può

di
Roberto Baldi
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La signora del tavolo accanto al ristorante rimanda indietro una porzione con piccoli semi di pomodori, kiwi, castagne, fichi? Con buona approssimazione potete fare diagnosi di diverticolite o diverticolosi, perché come spiega l’unità operativa di gastroenterologia di Humanitas ospedale policlinico ad alta specializzazione “da sempre i semi di piccole dimensioni vengono sconsigliati in caso di diverticolite per il timore che, incastrandosi in queste estroflessioni intestinali, determinino un’infiammazione intestinale. In realtà, i dati pubblicati in letteratura non hanno mai dimostrato un nesso causale tra gli alimenti contenenti semi e comparsa di sintomi (dolore, gonfiore).

 

È vero, però, che l’eccessivo consumo di frutta con semini e altri alimenti come fritti, insaccati, castagne, fichi, può causare un’infiammazione dei diverticoli”. Un processo che si spiega con le caratteristiche dei diverticoli, piccole sacche che si formano nella parte finale dell’intestino (diverticolite) ovvero lungo il grosso intestino (diverticolosi). Non sono soltanto questi i sintomi rivelatori di diverticolite, che è più spesso accompagnata da dolore addominale con piccoli crampi prevalentemente lato sinistro, meteorismo, fasi di stipsi e diarrea alternate, nausea, ma anche sintomi atipici, come la necessità di urinare con maggiore frequenza, verificatisi soprattutto durante periodi particolari come la pandemia con cambio dell’alimentazione e dello stile di vita, eccedendo con cibi raffinati, grassi, speziati e irritanti, o durante l’ estate allorché si abusa di alcolici, bevande gassate e fredde che stimolano la mucosa intestinale.

 

Particolarmente consigliati invece: fibre, frutta (senza semi), verdure, acqua. Si evitano in linea generale gli interventi chirurgici demolitivi come la colostomia, mentre nei casi più acuti ci si rivolge oggi alla laparoscopia con asportazione del tratto malato. Il decorso operatorio in questi casi è veloce nell’arco di 3-4 giorni. Ma è un rimedio che tende a chiudere la porta quando i buoi sono scappati. Molto meglio incamminarsi verso la strada di un’igiene alimentare adeguata che contempli il giusto dosaggio fra gli elementi fondamentali lipidici, glucidici e proteici senza criteri espiativi ma pur sempre con limitazione di alcune sostanze pregiudizievoli.

 

L’origine psicosomatica di alcune infiammazioni intestinali suggerirebbe anche di ridurre per quanto possibile i carichi lavorativi e di diminuirne la componente eretistica, ma il problema in questi casi non è solo di volontà individuale, atteso che l’intero contesto odierno ci indirizza verso il tutto e subito in un’affannosa risposta alle richieste familiari e societarie.

 

 

La cattiva digestione provoca l’anemia

 

Le infiammazioni intestinali sono fra le prime cause della cosiddetta anemia sideropenica (dal latino sìderos = ferro e penìa = povertà) o anemia marziale, una condizione in cui nell’organismo non vi sono adeguati livelli di ferro e questo compromette il trasporto di ossigeno attraverso il sangue provocando stanchezza, pallore, debolezza e cefalea, resistenza psico-fisica ridotta, ma possono essere presenti anche lesioni della cute e fragilità delle unghie. La terapia si basa essenzialmente sulla somministrazione di sali ferrosi, in genere per via orale, ma la difficoltà di tale assorbimento rilevabile anche da feci scure consiglia la prevenzione e la cura a monte, evitando il cronicizzarsi del problema.

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