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Massima attenzione verso i segnali del bebè

di
Maurizio Maria Fossati
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Circa il 3% dei neonati presenta uno o più organi o apparati affetti da malformazioni congenite e/o problematiche motorie, sensoriali, cognitive. Spina bifida, cardiopatia congenita, piede torto, sindrome di Down, sordità, malformazioni renali sono solo alcuni esempi. I difetti congeniti sono alterazioni che si verificano nelle immediate settimane successive al concepimento e determinano problemi nello sviluppo corporeo o nel funzionamento degli organi. La diagnosi, spesso complessa, può essere fatta a volte durante la gravidanza (prenatale), più spesso al momento della nascita o nei primi mesi/anni di vita.

 

Per capire meglio, parliamo con Angelo Selicorni, pediatra e genetista, direttore dell’UO Complessa Pediatria ASST Lariana – Ospedale Sant’Anna di Como. «Quando un neonato presenta contemporaneamente più difetti congeniti – spiega il dottor Selicorni –, allora si parla di sindromi malformative che, considerata la loro bassa prevalenza individuale, rientrano nel capitolo delle malattie rare e hanno spesso una base genetica come causa principale. Il 70-80% delle malattie rare ha origine genetica e la stragrande maggioranza dà i primi sintomi in età pediatrica. Le sindromi malformative non fanno eccezione».

 

Quali sono i primi campanelli d’allarme per individuare una sindrome malformativa?

«Se si scopre una malformazione alla nascita, le indagini non si devono fermare. La visita deve essere molto accurata per verificare se vi siano altri problemi. Si controllano tutti gli organi e apparati del neonato e il suo stato neurologico. Se il tono muscolare è normale o se sembra compromesso. Tutte queste valutazioni vanno ripetute nel tempo assieme al controllo dell’andamento della crescita e dello sviluppo psicomotorio. In alcuni casi l’osservazione attenta della fisionomia del bambino aiuta e permette a un medico esperto di riconoscere a colpo d’occhio quali sono i problemi. E comunque, nel momento in cui un medico individua un difetto congenito, il primo aspetto da considerare è la presenza di problematiche simili a livello familiare».

 

Come si procede dopo la valutazione clinica?

«Il medico può già essersi fatto l’idea di quale sia la diagnosi in base alla fisionomia e ai sintomi del bambino. Un esempio in questo senso può essere quello della diagnosi di sindrome di Down. A questo punto il medico attiva un test genetico mirato per verificare la sua ipotesi. Nel caso, invece, che il quadro sia dubbio, si programmano controlli nel tempo per verificare l’evoluzione dei problemi. Nel caso, infine, in cui si abbia un chiaro sospetto della presenza di una sindrome malformativa, senza però una ipotesi definita, si attivano i test di nuova generazione messi a disposizione dalla moderna tecnologia genetica».

 

Ma non sempre è così semplice, vero?

«Certo. In molte situazioni, nel mondo delle malattie rare, si può andare incontro alla cosiddetta ‘odissea diagnostica’ in cui, per arrivare alla diagnosi, sono necessari anni e anni di ricerche e indagini. E questo è un grosso problema sia dal punto di vista sanitario, ma anche da quello emotivo e psicologico. Avere la consapevolezza che c’è qualche cosa che non va nella crescita e nello sviluppo di un bambino, senza riuscire a conoscerne la causa, né il nome della malattia, non è certo una situazione facile da sostenere emotivamente».

 

Quando si è arrivati a una diagnosi, bisogna comunicarla.

«Certo. Anche questo è un momento estremamente delicato. Considerate un neonato che sembra bello come il sole. E pensate di dovere comunicare ai genitori che invece il suo futuro sarà costellato di problemi. L’impatto di una comunicazione simile va sempre gestito con estrema attenzione e umanità. Ci si deve impegnare a dare una notizia non ottimale in un modo accettabile».

 

Poi parte il percorso assistenziale…

«Anche qui i problemi sono i più svariati perché la maggior parte delle sindromi malformative non ha una terapia specifica. Si può correggere un difetto cardiaco, una malformazione del palato e così via, ma se un bambino ha un ritardo intellettivo o psicomotorio, si potrà attivare un percorso riabilitativo, ma sarà comunque impossibile ‘risolvere’ la situazione. E il futuro sarà certamente impegnativo».

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