Medicina

Leucemia mieloide, all’origine c’è una anomalia cromosomica

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La terapia medica dei tumori è un campo in cui si sono alternati periodi di avanzamenti dirompenti e di lenti e graduali progressi. L’individuazione di bersagli molecolari specifici dei tumori presenta alcuni esempi di introduzione di farmaci innovativi che hanno chiaramente segnato un punto di svolta nel trattamento di alcune forme tumorali. Una storia esemplificativa di una scoperta rivoluzionaria comincia con l’identificazione alla fine degli Anni ’50 di una anomalia cromosomica presente quasi sempre nella leucemia mieloide cronica la cui caratterizzazione molecolare negli anni ’70 ha condotto alla realizzazione di un farmaco, l’imatinib, che ha cambiato la storia clinica della malattia. Ne ha parlato in questi termini Mauro Biffoni, direttore del dipartimento di oncologia e medicina molecolare dell’ Istituto Superiore di Sanità in occasione della seconda giornata di Onconnection, Disruptive Innovation, organizzata in collaborazione con Mondosanità

 

Inibitori enzimatici

Prima della sua introduzione, all’inizio degli anni 2000, la leucemia mieloide cronica aveva una sopravvivenza a cinque anni del 20% che oggi, con l’avvento di imatinib e degli altri inibitori dello stesso bersaglio molecolare, è intorno al 90%.  Imatinib costituisce un primo passo nell’utilizzo di inibitori enzimatici di chinasi fondamentali nella crescita di diversi tipi di tumore cui si sono aggiunti molti altri farmaci inizialmente studiati secondo le vie tradizionali basate sulla classificazione anatomo-istologica ma recentemente anche con approcci slegati da questa (histology-agnostic) e che pongono a fondamento dell’indicazione solo la presenza di una determinata alterazione molecolare.

 

Pronosticare gli effetti

L’enorme aumento di potenza delle tecnologie per la caratterizzazione molecolare dei tumori ha accelerato l’identificazione di potenziali bersagli molecolari e favorito lo sviluppo di nuovi farmaci specifici. Dei 14 nuovi farmaci oncologici autorizzati dall’EMA nel 2020 ben 8 prevedono la valutazione di un biomarcatore predittivo della risposta. Lo spostamento verso terapie a bersaglio è testimoniato dalla crescita progressiva dei farmaci autorizzati da FDA con utilizzo raccomandato sulla base dell’individuazione di un biomarcatore, che nel corso di venti anni sono aumentati di oltre 10 volte (da 7 a 79). La sperimentazione clinica in corso fa ritenere che altri se ne aggiungeranno nei prossimi anni.

 

Prove di efficacia

L’approvazione dei farmaci oncologici si muove in un precario equilibrio tra bisogni che spesso sono in contrasto tra di loro: quello di avere evidenze solide di efficacia e sicurezza e quello di rendere disponibili con rapidità farmaci che rispondono a necessità terapeutiche non soddisfatte. La via ottimale prevede una ricerca clinica di potenza adeguata condotta con studi clinici di confronto diretto con uno o più comparatori attivi adeguati, con attribuzione casuale ai bracci di trattamento e la valutazione di esiti solidi di efficacia e di sicurezza prolungati nel tempo. L’indicatore di efficacia più solido in oncologia è ovviamente la capacità di prolungare la sopravvivenza dei pazienti rispetto ai trattamenti più efficaci già disponibili.

 

Anni di vita

Per alcune patologie per le quali anche stadi relativamente avanzati consentono sopravvivenze prolungate questo parametro potrebbe richiedere dei tempi di studio molto lunghi o arruolamenti molto grandi e può rendersi necessario ricorrere a dei parametri surrogati dei quali però deve essere dimostrata la correlazione con il parametro più indicativo.

 

Purtroppo, rileva il dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità, farmaci autorizzati con procedure accelerate e basate su parametri surrogati di sopravvivenza talvolta non confermano a distanza di tempo le promesse di efficacia che ne avevano motivato l’approvazione. Un aspetto molto rilevante ma ancora poco utilizzato negli studi registrativi è la valutazione della qualità della vita dei pazienti conseguente ai diversi trattamenti. Proprio la valutazione della qualità della vita condotta su parametri solidi potrebbe rappresentare un importante supporto alla validità dei parametri di sopravvivenza surrogati.

 

Talora i tumori che presentano queste alterazioni genetiche suscettibili di terapie a bersaglio molecolare sono caratterizzati da storie naturali diverse da quelle che complessivamente hanno i tumori dello stesso istotipo e quindi anche i controlli indiretti ricavati da studi clinici precedenti nei quali non era stata eseguita un’adeguata caratterizzazione molecolare perdono di significato. In questi casi a volte si può ricorrere alla valutazione di parametri surrogati insoliti come la comparazione dell’effetto in linee di terapia avanzate rispetto a quello ottenuto con le precedenti linee.

 

La valutazione del valore innovativo dei farmaci oncologici, in particolare di quelli rivolti verso bersagli molecolari può sembrare complessa, ma deve essere condotta comunque sulla base delle evidenze disponibili e probabilmente richiederà l’attuazione di procedure più flessibili di autorizzazione al fine di garantire l’ingresso nella clinica di trattamenti più efficaci, senza per questo alimentare speranze prive di fondamento, e di garantire la sostenibilità dei sistemi sanitari.

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