Medicina

Jak3, la proteina che lega diabete e Alzheimer

di
Gaia Sancini
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Persone affette da diabete di tipo 2 hanno una maggiore probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer. Lo rivela una nuova ricerca, condotta sui topi, da Narendra Kumar, professore associato presso la Texas A&M University di College Station. Lo studio offre notevoli spunti per comprendere cosa succeda a livello molecolare nelle persone diabetiche per favorire l’insorgere dell’Alzheimer. La ricerca si aggiunge alle precedenti indagini sul legame tra il diabete di tipo 2 e la malattia di Alzheimer, che alcuni scienziati hanno definito “diabete di tipo 3”.

 

I risultati suggeriscono che dovrebbe essere possibile ridurre il rischio di Alzheimer mantenendo il diabete ben controllato e adottando uno stile di vita che ne impedisca l’insorgenza. «Pensiamo che il diabete e la malattia di Alzheimer siano fortemente legati e che adottando misure preventive o di miglioramento del diabete sia possibile prevenire o almeno rallentare in modo significativo la progressione dei sintomi della demenza nella malattia di Alzheimer», ha detto ha detto Kumar.

 

Il diabete e l’Alzheimer sono due dei problemi di salute in più rapida crescita a livello mondiale. Il diabete altera la capacità dell’organismo di trasformare il cibo in energia e colpisce, secondo le stime, un adulto statunitense su dieci. L’Alzheimer, una forma di demenza che causa il progressivo declino della memoria e delle capacità di pensiero, è tra le prime dieci cause di morte negli Stati Uniti. È noto che la dieta influenzi lo sviluppo del diabete e la gravità delle sue conseguenze sulla salute. Per scoprire in che modo il regime alimentare potrebbe influenzare lo sviluppo dell’Alzheimer nelle persone affette da diabete, i ricercatori hanno analizzato la capacità di una particolare proteina dell’intestino nell’influenzare il cervello.

 

Gli scienziati hanno scoperto che una dieta ad alto contenuto di grassi sopprime l’espressione della proteina, chiamata Jak3, e che i topi privi di questa proteina hanno sperimentato una cascata di infiammazioni a partire dall’intestino, passando per il fegato e arrivando al cervello. Alla fine, i topi hanno mostrato sintomi simili a quelli dell’Alzheimer nel cervello, tra cui una beta-amiloide di topo sovraespressa e una tau iperfosforilata, oltre a evidenziare un deterioramento cognitivo. «Essendo il fegato il metabolizzatore di tutto ciò che mangiamo, pensiamo che il percorso dall’intestino al cervello passi attraverso il fegato», ha affermato Kumar. Il suo laboratorio ha studiato a lungo le funzioni di Jak3 e ora si sa che l’impatto del cibo sui cambiamenti nell’espressione di Jak3 porta a una perdita intestinale. Questo, a sua volta, provoca un’infiammazione cronica di basso grado, il diabete, una minore capacità del cervello di eliminare le sostanze tossiche e sintomi simili alla demenza, che si manifestano nel morbo di Alzheimer.

 

La buona notizia, secondo Kumar, è che potrebbe essere possibile fermare questo percorso infiammatorio seguendo una dieta sana e tenendo sotto controllo la glicemia. In particolare, le persone affette da prediabete potrebbero trarre beneficio dall’adozione di cambiamenti nello stile di vita per invertire il prediabete, prevenire la progressione verso il diabete di tipo 2 e potenzialmente ridurre il rischio di Alzheimer.

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