Intervista

Giuseppe Porcellini: “Traumi, il pieno recupero è un gioco di squadra”

di
Alessandro Malpelo
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Quando una frattura, una ferita o un impedimento muscolo scheletrico limita i nostri movimenti saremmo tentati di chiedere miracoli. Sui danni causati dagli infortuni, nello sport come nella vita di tutti i giorni, non si scherza. Abbiamo visto nei giorni scorsi, con gli Europei, quanto i calciatori professionisti sono sollecitati, e come sono sensibili: Spinazzola operato al tendine di Achille, saltato di punto in bianco durante la partita, Chiesa azzoppato e costretto allo stop dopo un contatto apparentemente lieve. Gli inconvenienti che colpiscono gli atleti sono all’ordine del giorno, pensiamo anche alla spalla e al gomito nel motociclismo, nel body building, nella pratica sportiva in senso lato. Ne parliamo con Giuseppe Porcellini, specialista che è salito alla ribalta della cronaca per aver operato fuoriclasse e celebrità. Oggi è in organico al Policlinico di Modena, ed è chiamato spesso in Italia e all’estero come relatore ai congressi.

 

Professore, iniziamo dalla statistica. Quanto incidono gli infortuni degli sportivi?
«Potrei fare un esempio che riguarda le partite di pallavolo nei tornei internazionali di alto livello: si sono calcolati 3,8 traumi ogni mille ore giocate per giocatore, senza differenze significative tra uomini e donne. I distretti anatomici più colpiti, in questo caso, sono caviglia, dita delle mani (traumi acuti), spalla, ginocchio e rachide lombare».

 

E come si affrontano?
«L’infortunio va inquadrato partendo dall’esame obiettivo, suffragato dalla cinematica, ovvero dallo studio dello specifico gesto sportivo, e dalle informazioni che derivano dall’imaging dinamico. L’obiettivo è porre l’atleta al centro del percorso di prevenzione, diagnosi e cura».

 

Come funziona un centro di eccellenza in traumatologia?
«Anche qui, posso portare l’esempio dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena, che si avvale di competenze polispecialistiche nella gestione di patologie complesse di secondo e terzo livello di natura traumatica, congenita e degenerativa dell’arto superiore. L’obiettivo è un rapido inquadramento multidisciplinare attraverso un percorso diagnostico terapeutico (Pdta)».

 

Come viene trasmessa l’esperienza ai giovani medici, in ospedale, in questo ambito specialistico?
«Questo è un nostro fiore all’occhiello. Modena può contare su una scuola di specialità rivolta ai medici in formazione, che possono perfezionare tecniche chirurgiche su preparati anatomici per esercitazioni, e porta in dote due master, percorsi che vanno tenuti distinti. In particolare il master in traumatologia dello sport (25 medici coinvolti) è realizzato assieme al Rizzoli di Bologna e all’Humanitas di Milano, a riprova del fatto che il lavoro in rete è fondamentale. Fabio Catani, professore ordinario, è responsabile per Modena della traumatologia dello sport».

 

Lei è famoso per aver operato personaggi dello spettacolo, come l’indimenticabile Fabrizio Frizzi, e tantissimi campioni dello sport. L’anno scorso Dovizioso, centauro di fama internazionale, ha raccontato tutto del suo caso. Com’è andata?
«Andrea Dovizioso, pilota della Ducati, caduto durante una gara di motocross, si è sottoposto a un intervento di riduzione e sintesi della frattura scomposta alla clavicola sinistra. L’intervento, che ha comportato l’inserimento di una placca metallica e di alcune viti è andato bene, idem la riabilitazione portata avanti in accordo col suo staff. Per quanto riguarda i tempi di recupero abbiamo visto con piacere il rapido ritorno del campione alle competizioni».

 

Quale il segreto di un intervento ben riuscito?
«La preparazione e l’organizzazione: i pazienti devono essere seguiti a livello di team, il chirurgo deve saper dialogare col medico sportivo, il fisioterapista, il preparatore atletico. Occorre avere una mentalità improntata alla rieducazione. Oggi si parla sempre più spesso di RPP, “return to prior performance“, si percepisce il desiderio di tornare al livello di prestazioni precedente la lesione».

 

Quali le grandi scommesse dell’ortopedia italiana?
«Grandi progressi si stanno registrando nell’ambito delle tecnologie intraoperatorie, quindi robot, navigazione, planning preoperatorio computerizzato, penso alla patologia artrosica degenerativa, quando devi programmare una protesi “cucita addosso“ per quello specifico paziente e seguirlo nel tempo con un adeguato follow-up (seguire il paziente nel tempo). Per quanto riguarda la traumatologia dello sport c’è grande fermento sul versante biologico, alludo allo studio dei fattori di crescita, staminali e adipociti, per applicazioni innovative».

 

Quali indicazioni, e quali risultati? «Vediamo tanti atleti, dai quarant’anni in su, che sviluppano artrosi precoce. Tendono a usurare l’articolazione della spalla perché applicano carichi con stress massimali. Noi riscontriamo lesioni cartilaginee importanti, nella spalla come nel gomito, studiamo applicazioni a scopo terapeutico, dopo aver pulito il campo operatorio in artroscopia, un settore tuttora in evoluzione, dove non mancano le aspettative».

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