Adottare una seconda lingua, oltre alla lingua madre, non solo è una capacità importante, ma anche una maniera per combattere la demenza. Una nuova ricerca australiana indica che le persone ‘culturalmente diverse’ sono dotate di particolare resilienza alla malattia.
La sperimentazione della Scuola di psicologia dell’Università di Sydney, guidata dalla ricercatrice clinica Amira Skeggs, ha investigato la variante frontotemporale di demenza detta byFTD – una forma di demenza con esordio giovanile.
E ha documentato come persone che vivono in Australia ma sono nate all’estero, dove parlavano una lingua diversa dall’inglese, possono ritardare l’insorgenza di byFTD più a lungo, prima che i sintomi si manifestino.
Lo studio è stato condotto su oltre 100 pazienti con demenza, comprendenti persone originarie di paesi di lingua inglese come Australia, Usa e Gran Bretagna, e originarie da paesi di lingua non inglese in Asia, Europa Orientale e Figi.
I partecipanti sono stati divisi di tre gruppi: australiani monolingui, persone che parlavano inglese come prima lingua e persone di lingua nativa straniera.
“Vi sono meccanismi che attivano il cervello attraverso la propria vita; e passare da una lingua all’altra si è dimostrato un importante vantaggio”, scrive Skeggs sul sito dell’università .
“Nei casi di sindromi neurovegetative, come la byFTD, le persone culturalmente diverse possono avere un insorgenza più tardiva rispetto agli australiani monolingui perchè beneficiano di altri fattori, che rafforzano la resilienza e la riserva cognitiva.
I risultati non sono in alcun modo legati alla razza della persona, ma solo alla capacità di parlare un’altra lingua”, sottolinea la studiosa.
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